Equidistanze

La strada per Mosca/1

Resoconto dettagliato del viaggio a Mosca

Strade di Slovenia

17 luglio 2007 Eibiswald (Stiria) Siamo arrivati in Austria dopo 10 giorni di cavalcata attraverso le montagne slovene, e ora di concediamo una piccola sosta al riparo dalla vampa di luglio."Viandante, non esiste una strada, è dai tuoi passi che nasce la strada, e se ti volti indietro, non vedrai che una scia, come nel mare". Questa canzone su versi di Machado che ho sentito alla radio poco prima di partire mi ritorna in mente di continuo perché descrive in modo perfetto il nostro strano viaggiare: andare in Russia a cavallo fino a Mosca.

Non esiste una "equistrada" per Mosca, la creiamo noi con i nostri passi, legando assieme una serie di sentieri, strade bianche, strade d'erba che solo concatenati assieme formano la strada per Mosca, e che, una volta che siamo passati, tornano a essere strade e sentieri che portano da tutt'altra parte.

Compagni di viaggio

Le difficoltà burocratiche con le autorità russe sono state risolte grazie all'aiuto decisivo di Elena Touchkoumskaya Merluzzi, presidente dell'associazione "Unità" di Gorizia, che in questo progetto ha creduto e investito tempo e denaro, sobbarcandosi le estenuanti trattative con ministeri e consolati, alquanto spiazzati dalle nostre richieste fuori dagli schemi consueti.

 Partenza da Palmanova

Adesso abbiamo in tasca il preziosissimo visto su cui c'è scritto: "entra nel paese in sella a un cavallo". Ancora non ci sembra vero: già una volta, dieci anni fa, siamo arrivati in sella fino al confine tra Bielorussia e Russia e siamo dovuti ritornare indietro con le pive nel sacco.

 Dario con Tarim

I nostri compagni di viaggio sono l'inossidabile Terek (un cavallo anglo-arabo-sardo nato in Sardegna nel 1992), protagonista di quasi tutte le nostre scorribande, e Tarim, un cavallo di cinque anni alla sua prima esperienza, e che ci dà quindi alternativamente preoccupazioni e molto diletto nel conoscerlo meglio giorno dopo giorno. È un cavallo tedesco di razza Trakehner, quella da cui in un tempo lontano si sceglievano i migliori cavalli della cavalleria prussiana.

Ma Tarim non sembra aver preso molto dai suoi antenati: ha un carattere socievole, affettuoso, curioso, è un cucciolone di cinque quintali che non sa ancora nulla del mondo, sussulta alla vista di ogni mucca e si innamora perdutamente di una asinella incontrata in un pascolo.

 Amore a prima vista

Nei primi giorni ha ispezionato palmo a palmo le nostre bisacce con il suo nasone prensile alla ricerca di qualcosa di prelibato, mettendo a soqquadro l'attrezzatura. Nonostante l'assiduità con cui lo abbiamo allenato, la sua resistenza e la sua capacità di adattamento restano per noi la maggiore incognita di questo viaggio.

Aria di casa

Con una piacevole sensazione di euforia addosso, accresciuta dallo svolazzare dei nastri colorati che i nostri cavalli portano sulla cavezza dal momento della cerimonia ufficiale della partenza da Palmanova (il 7 luglio), cominciamo quindi la nostra strada verso Mosca nella campagna friulana tra Jalmicco, Versa e Lucinico.

È strano come la consapevolezza di stare per intraprendere un lungo viaggio ti faccia vedere con nuovi occhi l'ultimo lembo del tuo paese e apprezzare dettagli come le cipollesche curve austroungariche del campanile di Romans, che si staglia perfetto contro il cielo, oppure una stupenda serie di murales, mai notati prima, sul Lungo Isonzo, a Gorizia. Ce n'è anche uno, bellissimo, con un cavallo.

 Il murale sul Lungo Isonzo

E ancora le vecchie case di Gorizia, con le loro facciate liberty decadute, i mascheroni, il profumo dei gelsomini e dei tigli, il valico di San Gabriele, nemmeno più presidiato alla domenica mattina... Passiamo in un attimo il confine, e siamo in Slovenia!

Il percorso di quest'anno ci ha portato a viaggiare in diagonale passando a nord di Lubiana e puntando alla Stiria meridionale.

 Riflessi su una finestra

Sono giornate stupende, in montagna, in un continuo alternarsi di boschi e di pascoli. Le nostre tappe sono, in successione: Mala Lazna, nella selva di Tarnova; Jagrsce nei pressi di Idria, dove il primo e finora unico temporale ci ha concesso di collaudare la tenuta di tenda e impermeabili; Hotavlje nella valle della Sora; Grad Pri Cerklje vicino a Kamnik; Nova Stifta; Topolscica; Slovenj Gradec; Radlje.

Erba e caffè

Avendo una buona serie di mappe in scala 1:50.000 possiamo permetterci il lusso di evitare quasi completamente l'asfalto, sfruttando l'immensa rete di strade bianche esistente. Il lato negativo è che ormai non ci sono più negozi né bar nei piccoli paesi, anche se la montagna slovena, a differenza di quella italiana, è abitatissima. Soprattutto nelle regioni della Stajierska e della Koroska verso Nord-est: vi sonno centinaia di fattorie isolate fino a 1.000 metri circa, simili ai masi sudtirolesi.

 Panorama sulla pianura slovena

La Slovenia resta uno dei nostri paesi preferiti per la calorosa ospitalità della gente. Non è inconsueto, durante una breve sosta all'ombra, trovarsi omaggiati di una tazza di caffè servito dal "vicino di casa" su un bel vassoietto con tanto di biscottini.

 Caffè sul prato

E poi è l'erba con le sue mille sfumature a farla da padrona nel paesaggio, rendendolo qualche volta quasi abbacinante sotto il sole. La grande abbondanza di erba, un bene in apparenza illimitato, rende facile per noi viaggiatori a cavallo trovare un posto idoneo per piazzare il nostro campo per la notte.

Ma ogni regola ha la sua eccezione: quando l'ossessione dell'erba ha il sopravvento sul culto dell'ospitalità può capitare che il proprietario di un agriturismo si rifiuti recisamente di concederci l'uso (a pagamento) di pochi metri quadrati di prato, costringendoci a far pascolare i cavalli in uno spiazzo vicino alla strada con pochi ciuffi d'erba spelacchiati e facendoci comprendere come in passato si potessero combattere guerre per un pascolo.

La strada per Mosca/2

Dalla Stiria all'Ungheria

Ungheria, 27 luglio.Scrivo da un paese chiamato "Pane"- in ungherese Kenyeri. Verso le 17 abbiamo lasciato l'argine del fiume Raba per cercare un posto dove passare la notte - visto che la siccità imperante rende impossibile trovare erba per i cavalli - e abbiamo scelto come meta questo paese dal nome promettente. Fatta la sosta d'obbligo al bar locale (che per la cronaca si chiama "Buldozer Pub") in modo da farci un po' osservare dalla gente perché si renda conto che siamo solo viaggiatori un po' stravaganti e non dei poco di buono, sfoderiamo la consueta richiesta di ospitalità per una notte. Allora un bel giovanotto dall'aria franca si fa avanti e in un tedesco stentato si offre di affittarci una stanza a casa sua e di tenere i cavalli nel cortile, procurando loro tutto il cibo necessario.

Levente ha 27 anni, fa il camionista, ha l'hobby del motocross ed è dotato di una raro senso pratico per risolvere le situazioni impreviste. Dal momento che la sua ragazza lavora fino a tardi, telefona subito alla mamma perché ci prepari una buona cenetta. E la cena di Etelka è davvero una ri-creazione per il palato dopo una settimana di gommosi panini a pranzo e di insulse trattorie alla sera: tenere bistecchine, varie insalate, patatine e addirittura una terrina di pastasciutta (intesa in verità come contorno), su cui ci avventiamo subito sfacciatamente. La signora Etelka sorride e si schermisce: "Ho fatto tutto in fretta, la prossima volta avvertitemi un po' prima, scrivetemi un' e-mail"! E così adesso, soddisfatti i bassi istinti della fame e della sete (si comincia con un'acqua vite, si continua con la birra e si finisce il pasto con il vino) mi accingo a raccontare un po' l'ultima settimana di viaggio.

Andrea la calda

I meteorologi, si sa, sono dei buontemponi e amano mettere dei nomi femminili a fenomeni atmosferici devastanti, è pure risaputo che Andrea, nei paesi di lingua tedesca, è un nome di donna. Ed il gioco è fatto: l'ondata di calore che la settimana scorsa ha imperversato nell'Europa centrale è stata prontamente battezzata dai meteorologi austriaci "die heisse Andrea", Andrea la calda, con tutti i possibili doppi sensi che questo comporta.

Un po' tutti erano terrorizzati all'idea che il termometro sarebbe salito fino a 39° e anche noi ci siamo concessi due giorni di pausa. Sistemati Terek e Tarim in un bel maneggio, siamo "scesi"(così si diceva un tempo) nella più antica Gasthof di Eibiswald, un edificio storico proprio nella piazza centrale, con i suoi muri spessi e i corridoi bui e la moquette un po' polverosa. Ma all'interno della vecchia scorza si cela una favolosa piscina, e così si nuota quasi sotto il campanile. Campanile fantasioso: sembra che l'architetto lo abbia concepito infilzando su uno spiedino via via una bella cipolla, un mezzo limone, una testa d'aglio, una mezza noce e una ghianda.

Del resto gli ozi di Eibiswald sono serviti per fare amicizia con Barbara Rieger, 35 anni, infermiera, una lunga chioma rossa, un fisico asciutto e una risata irresistibile. Barbara ha da poco coronato il sogno della sua vita: gestire un maneggio tutto suo dedicato all'equitazione per bambini.

 I figli di Barbara in libertà...

Barbara di marmocchi ne ha ben quattro, di 8, 7, 5 e 3 anni rispettivamente, che godono di un'invidiabile libertà: scalzi e seminudi, sgambettano per il prato, sguazzano nella piscina, giocano con gatti, pony e conigli senza importunare gli adulti con continue richieste di attenzione.

 ...e le due bambine!

Lasciata Eibiswald, la nostra cavalcata prosegue in Stiria verso Est: facciamo tappa a Leibniz, nel lussuoso centro ippico Bergmuhle, a Gnas dalla famiglia Palz e a Jennersdorf da Joe e Franz Ablasser che vivono all' Hartweberhof, una fattoria quadrangolare (Vierkanthof) vecchia di secoli. Tozza e squadrata all'esterno, quasi una casa-fortezza, all'interno nasconde un patio tutto porticato come un chiostro, con un giardino fiorito.

 Da Joe e Franz Ablasser

Ovunque ben accolti e ospitati praticamente gratis, vediamo una volta di più il grande amore degli austriaci per i cavalli e la loro disponibilità ad accogliere il viaggiatore. Per il resto la Stiria del Sud è un po' monotona: raggiunta la valle della Raab, ai campi di mais si alternano i campi di zucche che producono quel ricercato olio di semi dal colore d'inchiostro che i bravi stiriani, in mancanza di attrazioni più eclatanti, cercano in tutti i modi di promuovere con degustazioni, strade dell'olio, visite a frantoi ecc ecc. Da manuale.

"Sciarga" e null'altro

Passato Jennersdorf, un piccolo valico di frontiera, senza controllo di polizia e dedicato espressamente a "pedoni, ciclisti e persone con cavalli", da Mogersdorf porta in Ungheria a Szentgotthard. Qui tutto cambia, tutto è un po' più alla buona, nei paesi ci sono ancora i negozietti, i terreni sono sabbiosi, i campi senza fine, coltivati soprattutto a mais e orzo. Colpisce il colore dominante, il giallo ("sciarga"), che man mano che si procede verso Nord diventa sempre più polveroso.

Cavalchiamo sempre lungo il corso della Raab, ora chiamata Raba, un pigro fiume di pianura dal colore marroncino.

 Nella valle della Raba

Si possono trovare numerose piste nei campi, e passata la cittadina termale di Sarvar ci sono anche gli argini rendono molto più facile l'orientamento e la marcia. E' bello sentire l'odore della paglia appena trebbiata oppure ascoltare il vento tra le foglie dei pioppi, unico rumore presente oltre al ronzio degli insetti, e non vedere anima viva per ore e ore. Ma proprio per questo, giunta una certa ora del pomeriggio, si lasciano le rive del fiume e si cavalca verso una città chiamata "Pane".

La strada per Mosca/3

Vodu, vodu pre konj?

Scrivo dalla cucina della famiglia Malikova, a Borcany, un piccolo paese della Slovacchia centrale. La nostra tenda e il recinto dei cavalli sono piantati in fondo al giardino.

 Foto di gruppo a Borcany

Sono loro, Tarim e Terek, i catalizzatori di queste conoscenze casuali, per l'interesse che suscitano in chi incontriamo per strada e che spesso si trasforma in offerta di ospitalità.

A dire il vero, Jana e Iveta Malikova abitano con le rispettive famiglie in cittá, a Banovce, e nella vecchia casa di campagna vengono solo a trascorrere il fine settimana con i figli e i loro amici. La compagnia è allegra e numerosa e si sono aggiunti anche i vicini di casa curiosi di conoscerci. Sono stati già serviti numerosi spuntini e una bottiglia di grappa, con una bella pera dentro, è stata già prosciugata e prontamente rabboccata dal padrone di casa. E adesso che tutti sono affaccendati intorno alla griglia chiedo il permesso di rintanarmi in cucina a scrivere.

Ultimi giorni in Ungheria

Abbiamo attraversato tutta l'Ungheria seguendo la valle della Raba fino a Gyor, dove il fiume confluisce nel Moson Dunai, a sua volta affluente del Danubio. Abbiamo seguito gli argini, che sono una vera e propria ippovia, ma la grande siccità ci ha costretto a ripiegare sui centri equestri per trovare il cibo per i cavalli.

 Trovare l'acqua è molto importante

Qualche volta abbiamo trovato anche una stanza per noi. Questo lusso non ci dispiace perché la normale giornata di un viaggiatore a cavallo è abbastanza faticosa: ci si alza alle 5.30 per accudire i cavalli dando loro da bere e da mangiare, poi bisogna strigliarli, sellarli e affardellarli con la massima cura perchè il bagaglio non causi loro fastidio.

Oltre a ciò bisogna naturalmente smontare la tenda e il recinto elettrico. Tutto va piegato e compresso in modo da creare il minimo ingombro possibile. Si parte di solito verso le otto. La giornata di marcia dura circa dieci ore, di cui sette sono di cammino vero e proprio e tre sono di soste brevi e lunghe, necessarie per riposare, per cercare cibo e acqua per noi e per i cavalli, e per chiedere informazioni sul percorso (nelle lingue piú svariate).

Alle sei di sera bisogna fermarsi assolutamente per cercare un posto adatto per la notte e accontentare le esigenze di tutto il team, bipede e quadrupede.

Due dimensioni si incrociano

Dopo aver studiato più e più volte la carta topografica, decidiamo di avventurarci nell'attraversamento a cavallo della città di Gyor, per puntare direttamente verso il confine slovacco. La fortuna ci aiuta: l'argine della Raba continua oltre autostrada e ferrovia, per diventare un minuscolo sentierino infrascato che sbuca - come da un'altra dimensione - proprio sul ponte Petofi nel pieno centro della cittá. Pochi minuti nel traffico caotico, tra lo stupore di automobilisti e pedoni, e un altro ponte ci porta sull'argine del Moson Dunai, dove torniamo nella dimensione a noi usuale, quella delle piccole strade sconosciute alla maggior parte della gente.

 Il centro di Gyor

Primi giorni in Slovacchia

Oltre il ponte sul Danubio, in Slovacchia, nulla cambia: il paesaggio e l'architettura sono esattamente gli stessi, stessi campi senza fine di cereali e di girasoli, stesse case in stile pannonico, stessa la lingua della numerosa minoranza ungherese. E anche qui siccità.

La prima notte ci accampiamo sulla riva del fiume Vah, sotto un enorme pioppo. Uno "Strand Bife" offre hamburger giganti, musica ungherese va a tutto volume nella notte.

 Sulla riva del Vah

Due giorni sugli argini della Vah, in pianura, poi cominciano le strade di terra battuta sulle prime timide colline che lentamente si fanno più alte, mentre all'orizzonte compare il profilo scuro dei monti Fatra.

 Ancora sul fiume Vah

È molto difficile, in mancanza di erba, trovare fieno in un paese in cui ci sono pochissimi cavalli, non esistono i piccoli contadini e agricoltura e allevamento sono compito esclusivo delle cooperative, una volta statali e ora quasi del tutto privatizzate. Gli slovacchi in generale sono gentili, ti guardano con curiositá dritto negli occhi, ma non ti rivolgono la parola per primi. Però se hai bisogno di qualcosa, come trovare quindici kg di avena o una sistemazione per la notte, prendono subito in mano l'onnipresente telefonino e si danno da fare per te.

Quindi ci ha molto colpito un signore dai capelli bianchi che appena ci ha visto sbucare da una stradina si è sbracciato gridando: "Vodu - vodu pre konj? Acqua - acqua per i cavalli?", venendo incontro esattamente alla nostra urgente necessitá del momento.

 Anton e Tarim

Spalanca i battenti del portone, prepara due secchi di acqua per Tarim e Terek, tira fuori della farina di orzo e poi mele e carote, e intanto ci chiede se vogliamo un caffé. Poi decide - visto che è mezzogiorno - che anche noi dobbiamo mangiare, scompare e ricompare con pane formaggio pomodori e peperoni, dopodiché si mette in attenta osservazione dei cavalli che ha voluto lasciassimo liberi nel cortile.

Terek, l'esperto, come al solito non alza mai la testa dall´'erba, quando c'è da mangiare mangia. Tarim invece è un bambino curioso che non sa stare fermo, esplora tutto il cortile metro per metro, con scarti, sbuffi e sospiri. Il nostro ospite, che si chiama Anton, incantato e silenzioso, guarda i cavalli e sorride tra di sé. Noi incantati e stupiti mangiamo e guardiamo lui in silenzio.

Dopo una mezzoretta, Terek muove un'orecchia-antenna, Tarim fa un balzo: è arrivata nel cortile la moglie di Anton, con un vassoio di krapfen fatti in casa. La donna ci svela il mistero: in quel cortile della casa natale del marito c'erano un tempo la stalla e dei cavalli che lui aveva amato moltissimo. La nostra presenza lo aveva riportato indietro agli anni dell'infanzia. Borcany, 4 agosto.

La strada per Mosca/4

La strada segreta di Lenka

24 agosto 2007. Scrivo da Sandomierz, una città antica sulla riva sinistra della Vistola. Un sole estivo ancora cocente fa maturare pomodori mele e pesche per cui la regione è famosa.

 Notte a Sandomierz

Ci concediamo due giorni di riposo al centro ippico di Magda e Andrzej Bury, sulla collina di Mokoszyn. 'Le prospettive per i giovani sono buone - ci dice in inglese Andrzey, 30 anni - la Polonia offre mille opportunità e siamo convinti che tra poco i polacchi riprenderanno interesse all'equitazione e al cavallo, un animale cui sono stati in passato profondamente legati.'

 Magda e Andrzej Bury con l'inseparabile Gruba

Sua moglie Magda, 25 anni, istruttrice di equitazione, bella e simpatica, tra un lavoro di scuderia e l' altro coccola la figlioletta di 5 mesi. Ma come sono state le ultime due settimane?

Benzina per i cavalli

E' ovvio per tutti noi che non potremmo effettuare un lungo viaggio in auto senza fare regolarmente il pieno di benzina, molto meno ovvio è invece il fatto che i cavalli, sottoposti a un lungo sforzo, hanno bisogno di una alimentazione adeguata e ricca di calorie. Avendo ormai perso il contatto con animali di grossa taglia come mucche e cavalli, la maggior parte delle persone che incontriamo stenta a capire che la nostra esigenza primaria è trovare non solo erba buona - non tutto il verde è uguale - ma anche i cereali adatti, in primis l' avena ma anche l' orzo o il mais. I nostri cavalli mangiano ciascuno 7-8 kg di cereali al giorno, suddivisi in 3 pasti, il che significa che dobbiamo cercare di procurarci ogni sera sul posto questa quantita, potendo portare con noi solo una minima scorta. In Slovacchia, dove non ci sono piccoli contadini e i maneggi sono pochi, l'avena è merce rara. I negozi di mangimi esistono solo nelle città e vendono graziosi pacchetti sigillati da 4 kg.

Qualche volta abbiamo dovuto comperare orzo per alimentazione umana, lasciando strabiliate le commesse delle locali Coop che ci vedevano comparire alle casse con una ventina di pacchettini da mezzo kg. E così che abbiamo inventato lo slogan 'Benzina per i cavalli' che suscitava dapprima una risata ma poi quasi infallibilmente sortiva l' effetto desiderato: i nostri interlocutori capivano e si davano da fare per aiutarci a trovare l' agognato cereale. Analogo problema si verifica anche con l' acqua, non sempre facile da trovare lungo il percorso: un cavallo beve circa 40 litri di acqua al giorno, in condizioni normali, e bisogna abbeverarlo più volte. Uno dei pezzi più importanti della nostra attrezzatura è un secchio pieghevole di plastica, dal minimo ingombro, da cui i nostri cavalli bevono volentieri e che ci consente di attingere acqua quasi ovunque, da pompe rubinetti o pozzi inaccessibili ai cavalli. Spesso ci capita di vedere persone volonterose ma del tutto inesperte avvicinarsi con ciotole da canarino oppure con secchiellini giocattolo in cui i nostri due bestioni -5 quintali l' uno- non riescono a infilare neppure il naso. I nostri sforzi continui sono stati pero' ben ricompensati: Tarim il giovanotto inesperto mangia tutto di gusto ed è in forma perfetta, mentre Terek il veterano dopo 45 giorni di viaggio ha addirittura messo su qualche kilo.

La strada segreta di Lenka

Lasciati gli argini del fiume Vah, il nostro itinerario si svolge costantemente verso nordest lungo strade di campo e sentieri trovati sulle eccellenti carte topografiche slovacche al 50.000.

Cerchiamo di evitare il più possibile le strade asfaltate, in genere strette e piene di traffico, ma talvolta non ci sono alternative. E quanto ci succede ahimè la sera dell' otto agosto, quando ci troviamo a percorrere circa 10 km di una statale che scende verso Zilina, una delle maggiori città del nord.

La strada è chiusa tra il fiume e la ferrovia ed è percorsa da un ininterrotto e frenetico flusso di veicoli. A un tratto scorgiamo un campeggio con all'interno un piccolissimo maneggio, quanto basta per fermarci immediatamente a chiedere ospitalità (del resto gli spaziosi e poco fiscali camping slovacchi accettano i viaggiatori a cavallo se si accampano un po' in disparte).

Il maneggio viene gestito in estate da Lenka, una graziosa ragazza con le trecce, che studia scienza della comunicazione a Nitra e per nostra fortuna parla inglese.

 Lenka

Raramente quello che stiamo facendo suscita l' interesse dei giovani, ma Lenka è speciale: non solo ci mette a disposizione tutta la sua scorta di avena, ma si offre di accompagnarci a cavallo l' indomani oltre le colline, fuori dall' imbuto in cui ci siamo cacciati. Lenka cavalca senza sella di fronte a noi: in fondo al campeggio un sentierino passa sotto una parete rocciosa, poi scompare in un campo di alte erbe. Al di là del fiume, sulla strada, le auto sciamano una dietro l altra. Noi avanziamo, quasi invisibili: guadiamo il fiume, attraversiamo la strada, ci infiliamo dietro alcune case, passiamo la ferrovia. Andiamo ora ai piedi della collina, sul bordo di uno sterminato campo di erba medica, poi scendiamo in una valletta ombrosa, la percorriamo tutta e arriviamo su un altro campo.

 Cavalcando dietro Lenka

Continuiamo così su e giù per circa un ora finchè scolliniamo definitivamente e all' improvviso dinanzi a noi si ergono i monti Tatra. Siamo in un altra valle, su una strada tranquilla ormai lontana da Zilina.

Cinquanta chiodi

Ma Lenka ha operato anche un altro miracolo: ci ha procurato una cosa per noi importantissima e estremamente difficile da trovare in Slovacchia, una scatola di chiodi per la ferratura. Chissà perchè in questo viaggio si sono spezzati moltissimi chiodi e abbiamo dovuto sostituirli di continuo. Ce ne sono rimasti solo sei e negli ultimi giorni le nostre ricerche sono state sempre infruttuose e frustranti. Se restiamo senza chiodi dobbiamo fermarci. Ma ad attenderci ai piedi della collina c'è il ragazzo di Lenka con 50 chiodi della giusta misura, la numero due, perfetti. Si è preso un'ora di permesso dal lavoro per portarceli. Vediamo Lenka ripartire sulla sua strada segreta, portando il cavallo a mano, piccola figura che si staglia in lontananza sulla collina, contro il cielo.

Un mondo diverso

Ultima tappa slovacca a Namestovo, al confortevole 'Ranc pri Ediho', e dopo pochi km entriamo in Polonia da un piccolo valico.

 Avena mietuta a mano

Di nuovo tutto cambia: al posto dei campi sconfinati solo piccoli e piccolissimi appezzamenti coltivato ora a cereali ora a erba medica ora lasciati a prato, separati da alberi e da siepi, in un paesaggio antropizzato movimentato e sempre vario. I pascoli sono costellati da sagome nere, o marrone, o pezzate: sono le mucche dei piccoli contadini, legate a una lunga catena conficcata in terra con un picchetto.

 Paesaggio antropizzato della montagna polacca

Le case in questa zona montagnosa ai piedi dei Tatra sono piuttosto grandi, dalle forme abbastanza fantasiose, con il tipico tetto ad spioventi acuti. Il traffico sulle strade è ancora più sostenuto che in Slovacchia e diventa sempre più feroce man mano che ci avviciniamo alla città magnete di Cracovia. Siamo nella zona più ricca e industrializzata della Polonia. Anche sulle strade più piccole passano ininterrottamente camion furgoni e trattori e non vediamo l'ora di arrivare sull'argine della Vistola, un' autostrada verde e soffice su cui percorrere circa 200 km in direzione nordest.

 Vista sulla Vistola

Diamo così addio al traffico e stiamo per 4 giorni in compagnia esclusivamente del grande fiume dal colore azzurro polveroso. La corrente è intervallata da banchi di sabbia grigiastra, pioppi e salici lungo la riva formano una cortina grigio argento.

 L'argine della Vistola giallo di tanaceto

Sull' argine achillea bianca, tanaceto giallo e cicerbita azzurra danno delle macchie di colore più allegro a un paesaggio dai toni smorzati, che appena il sole scompare si vela di tristezza. Come al solito verso le sei di sera ci dirigiamo alla ricerca di un posto dove mettere tenda e recinto per i cavalli: non è stato difficile tutto sommato farsi 'adottare' da qualcuno perchè i polacchi sono molto generosi e un proverbio che amano citare recita 'Ospite in casa, Dio in casa'. La più grande fortuna che può capitare è incontrare altri appassionati di cavalli: in tal caso la sistemazione è assicurata.

 Una mandria di cavalli sull'argine

Il signor Oleg Hytros di Staniatki, casualmente interpellato a un incrocio, ci ha subito offerto ospitalità nella sua scuderia; Stanislaw Dyl ci ha addirittura chiamato dalla finestra della sua casa sentendoci passare (Ma vi ho sentiti prima io - ha precisato sua moglie);Magda Bury ci è corsa incontro spingendo la carrozzina della sua pupa, come se ci stesse aspettando.

 Si incontrano spesso queste croci

Altre volte le trattative sono state più laboriose ma si sono sempre concluse con successo. Dimenticavo una cosa importante: qui in Polonia non serve dire 'benzina per i cavalli' - i cavalli mangiano avena, è ovvio, no? E l'avena arriva a secchi, talora addirittura a sacchi, e non c'è bisogno di spiegare perchè.

La strada per Mosca/5

Ospitalità polacca

Terespol, 30 agosto.E' l'ultimo giorno in Polonia, domani ci attende il passaggio del confine con la Bielorussia, passaggio sicuramente difficoltoso, anche se abbiamo tutte le carte in regola. Di la' comincia il mondo di lingua russa, una cultura diversa, un senso dell'ospitalita' diverso, un ritmo di vita diverso.

 Tipica chiesa di legno

E cosi' dopo sette settimane di viaggio e 1700 km percorsi e' venuto il momento di fare un po' di bilancio: finora siamo riusciti a rispettare discretamente la nostra tabella di marcia, i cavalli stanno benone e noi pure, e anche Giove Pluvio e' stato estremamente benevolo nei nostri confronti, facendo piovere il piu' delle volte nei giorni di sosta. Il tempo pero' e' notevolmente cambiato e dopo giorni e giorni di caldo mediterraneo la temperatura e' bruscamente scesa: di notte il termometro segna tre gradi, in tenda ce ne sono otto. Questo a fine agosto non e' assolutamente normale, ci dicono, ma noi ci prepariamo psicologicamente per la Bielorussia e la Russia, dove settembre e' gia' il preludio dell'inverno.

 Piante di tabacco in fiore

Mi preparo a congedarmi anche dalla lingua polacca con cui mi sono faticosamente confrontata per due settimane. Adesso sto cercando di ricordare dei rudimenti di russo ma l'hard disk del mio cervello non ne vuole sapere di funzionare, e' come se avesse cancellato tutto nello sforzo di concentrarsi sulla lingua del paese che via via attraversiamo. E' cosi' che vanno le cose in questo viaggio: pochi giorni in tanti paesi diversi non consentono di imparare gran che, e appena ti sei un po' abituata a una lingua, ecco che gia' la devi cambiare. Ma per fortuna sloveno, slovacco, polacco e russo fanno parte dello stesso ceppo e sono simili, come qui tutti tendono a sottolineare.

 Tramonto sulla Vistola

Nella nostra personale hit parade delle parole piu' simpatiche nelle varie lingue, al primo posto c'e' il polacco vonwus (trascrivo il suono) che significa "stradina incassata tra due pareti di terra", poi c'e' l'utilissima parola slovacca "obrák" (razione alimentare per animali) e l'ungherese pozi (linguaggio infantile per 'cavallino'). E ancora "faini konniki", "bei cavalli", in polacco: parola che oltre all'ammirazione (che fa sempre piacere) denota la disponibilita' dell'interlocutore verso i cavalli, il che nel nostro viaggio non guasta mai.

Case, strade e giardini

Lasciati gli argini della Vistola a Annopol, abbiamo cominciato ad attraversare verso Nord Est un territorio intensamente coltivato a frutteto (mele, pere, susine) intervallato da piantagioni di lamponi. Poi, man mano che procediamo verso la Bielorussia, vi sono solo grandi campi di cereali e boschi di pini e di quercie. Le strade secondarie sono sabbiose, e dopo una giornata in sella sei tutto ricoperto da un sottile strato di polvere che ti avvolge come un domopak.

 Giardini polacchi

Le case di legno cominciano a essere numerose: piccole, spesso dipinte a colori vivaci e circondate da un coloratissimo giardino, dove i fiori si ammucchiano e si sormontano in un affollato disordine: dalie, zinnie, margherite sembrano piantate alla rinfusa e non conoscono la geometria delle aiole.

Ovunque un fervore edilizio notevole, anche perche', ci hanno detto, da pochi anni le banche concedono credito molto piu' facilmente e il desiderio di tutti e' di rimodernare la casa.

Contadini e imprenditori

Dopo un paio di giorni di riposo a Sandomierz, abbiamo deciso di tirare dritto fino al confine bielorusso. Il caso ha voluto che ci fermassimo, quasi alternatamente, una sera in un maneggio (qui ci sono piu' cavalli che in altre parti della Polonia) e una sera da contadini. Chi puo' permettersi dei cavalli sportivi ha senza dubbio buone possibilita' economiche: ha un ottimo lavoro, fa viaggi all'estero, ha genitori benestanti che gli danno una mano e una sicurezza in piu'. C'e' chi dirige la produzione di una linea di parabrezza per auto, chi vende vitelli in giro per l'Europa e chi ha addirittura una fabbrica di pasta, con macchinari comperati a Brescia!

 Il nostro primo traghetto sulla Vistola

Le prospettive di questi giovani sono buone e la loro visione del mondo e' ottimistica. Ma serenita' e ottimismo li abbiamo riscontrati dappertutto, anche se in generale si puo' dire che la vita e' dura. Il costo della vita e' abbastanza alto, di fronte a salari medi mensili di 500 Euro, o anche meno. Quasi tutti vanno all'estero, emigrano stabilmente oppure fanno lavori stagionali per uno o due mesi. Il paese piu' ambito in questo momento e' l'Irlanda, ci dicono, oppure la Gran Bretagna, ma abbiamo incontrato chi ha lavorato come cuoco in Norvegia o come giardiniere in Germania o chi raccoglie mele in Alto Adige.

Helena Olszewska di Jakubowice, per esempio, da nove anni parte con un "viaggio organizzato", se cosi' si puo' dire, e dopo 27 ore di corriera arriva in provincia di Trento, dove lavora per tutto il mese di settembre nei frutteti; il fratello di Regina Niedzwiedz di Dobrynka invece sfrutta le sue due settimane di ferie per la vendemmia in Friuli!

 A casa di Regina

Forse l'orgoglio e il desiderio di fare bella figura davanti all'ospite giocano un grosso ruolo e trattengono i polacchi dal lamentarsi, ma in realta' nessuno e' soddisfatto di come il paese e' governato. L'analisi piu' acuta della realta' ce l'ha data, parlando per nostra fortuna in tedesco, Wiktor Tomala di Alexandrow, che coltiva mele e lamponi, e che da alcuni anni lavora stabilmente in Germania e torna a casa d'estate, per il raccolto: ci vorranno almeno vent'anni, ci dice , perche' la Polonia raggiunga il tenore di vita dell'Europa centrale, bisogna che la classe dirigente si cambi completamente, con persone nuove, pulite, e una diversa mentalita'.

 Ospiti da Irena

Come avevamo gia' avuto modo di notare, l'ospitalita' polacca e' davvero generosa, non abbiamo mai pagato nulla per i cavalli, che hanno avuto a disposizione sempre fieno e avena in abbondanza, e anche noi siamo stati sempre adottati e accuditi con la massima disponibilita'.

 Ospiti da Wila

Un link, sotterraneo ma fortissimo, sembra legare italiani e polacchi, non c'e' stato luogo o persona che abbiamo conosciuto in cui non ci fosse qualche legame con l'Italia, e non soltanto per lavoro: ti fermi per caso davanti a un negozietto, leghi i cavalli a un albero mentre mangi un panino, e dalla casa di fronte dopo un po' compare Rinaldo, elettricista di Merano, felicemente sposato con Wiola, una polacca conosciuta in Italia. Ha passato le ferie nel paese natale della moglie ristrutturando la vecchia casa dei genitori di lei, e adesso sta ripartendo per l'Italia, ma trova il tempo per tirare fuori dai bagagli la caffettiera e preparare un caffe' all'italiana.

 Fusilli polacchi...pasta Poniatowa!

Certo la cosa piu' divertente e' stata vedersi presentare in tavola un bel piatto di minestra al pomodoro con dentro i fusilli, e scoprire che il padrone di casa, Mariusz Pytlak, un bel giovanotto sorridente, produce la pasta "Poniatowa" …ma con il grano tenero, come piace ai polacchi. A parte questo, ci e' mancata l'occasione di gustare qualche buon piatto locale, perche' anche qui, come nei paesi di lingua tedesca, vige l'abitudine della cena fredda: pane, burro, salumi in abbondanza e gli onnipresenti pomodori (in polacco pomidor ), coltivati con successo ovunque, e non solo nelle serre.

 La nostra "terrina da viaggio" con i pomodori polacchi

E tipicamente si bevono alla rinfusa te' (herbata), caffe', birra e vodka. Ma non importa, domani passeremo il confine, e tutti i nostri pensieri sono rivolti a quell fatidico momento.

La strada per Mosca/6

Un confine infinito

(7 settembre 2007)Scrivo dall'ufficio del veterinario distrettuale di Ivacevizi, una cittadina bielorussa a circa 150 chilometri da Brest, sulla "trassa" (strada) per Mosca.Sono qui perché da quando siamo entrati in Bielorussia si è attivata per noi una catena di sostegno da parte dei veterinari che ci aiutano a trovare dei punti di sosta a 45-50 chilometri di distanza uno dall'altro.

 Lubov Stepanovna nel suo ufficio

E il merito di tutto ciò è di Lubov Stepanovna Balabaniuk. Ma cominciamo dall'inizio.

Passerete a Kukuryki

Il 30 settembre arriviamo al valico di confine di Warshawski Most, a sud di Terespol. È questo il passaggio destinato a noi dalle autorità bielorusse, che lo hanno comunicato ufficialmente all'associazione Unità. Ci mettiamo in fila con le auto, ma al primo posto di blocco i poliziotti polacchi ci fermano dicendoci (così capisco, almeno) che dalla parte bielorussa non c'è il veterinario. Insisto per poter andare a parlare di persona con i bielorussi al di là del confine, che è a circa un chilometro, oltre il ponte sul fiume Bug.

"Qui non si può passare a piedi - mi dicono i polacchi - deve trovare un passaggio in macchina". Risolto anche questo, passo ulteriori posti di blocco in cui si presentano i documenti e alla fine arrivo di là. Il veterinario bielorusso e diversi poliziotti mi confermano che sì, ci stanno aspettando, e mi reimbarcano su un'altra macchina per tornare in Polonia, dove Dario aspetta con i cavalli. "Vittoria", dico a Dario, e ci rimettiamo baldanzosamente in fila con le macchine. Ma il nostro entusiasmo dura poco: un altro poliziotto polacco arriva e ci ripete che non è previsto che di lì passino animali, tanto meno privi di camion.

Con gran fatica in polacco cerco di farmi valere, il poliziotto - che è gentile - mi dice di aspettare e scompare. Aspettiamo pazientemente e lungamente, finché arriva la risposta definitiva: l'unico valico per gli animali è quello autostradale a nord. "Dovete andare a Kukuryki, non avete altra scelta - ci dicono - e dovete assolutamente trovare un mezzo di trasporto per i cavalli".

Questa, ce ne rendiamo conto, è un'impresa difficilissima, perché oltre al mezzo abilitato bisogna trovare un'autista con il visto per la Bielorussia.

Nel frattempo, sono passate le 5 del pomeriggio e sconsolati, e affamati, con le pive nel sacco e sotto il cielo maldisposto non ci resta che trovare una sistemazione per la notte. Almeno in questo siamo fortunati: facendo la spesa in un negozietto e chiedendo aiuto (forse in tono un po' disperato) alla padrona, questa in due minuti ci trova un alloggio da una sua amica a due passi dal confine, con i cavalli nel giardino e noi in casa su un divano letti. La notte, alquanto irrequieta, porta questo consiglio: non possiamo cavarcela da soli.

Bozena, la nostra gentilissima padrona di casa, che si è trovata coinvolta tra capo e collo in un simile conflitto di interessi internazionale, dopo un momento di sconforto mette mano al telefono e, non si sa per quali vie occulte, giunge a una persona che diventa la chiave di volta della situazione: Zofia Arseniuk è la persona giusta al momento giusto. Giovane ed energica, abituata a trattare al telefono con burocrati e autorità, è addetta alla promozione del comune di Terespol e non si lascia di certo sfuggire l'occasione di agire. Tanto smuove le acque che dopo un paio d'ore, superati tutti i drastici "no" iniziali, i burocrati di Kukuryki accettano di farci passare anche senza camion.

 Terminal o stazione spaziale?

In sella allora, e via, da Terespol ci sono circa 12 chilometri fino al nuovissimo autoporto (dall'aspetto di stazione spaziale) che i polacchi hanno costruito apposta pochi anni fa per ergersi, con l'ampliamento dell'Unione europea, a difensori dei confini dell'Europa.

Due cavalli tra i TIR

Con l'aiuto di Zofia espletiamo tutte le lunghissime formalità burocratiche e finalmente verso le 15 partiamo, unici piccolissimi bruscolini in mezzo a un mare di tir. Ma gli autisti dei tir ci sorridono piacevolmente sorpresi, ci salutano e fanno cenni di ammirazione, i russi scuotendo la testa e dicendo "malazzi" ("bravi"). L'autostrada è tutta recintata con un'alta cancellata verde, con una telecamera ogni dieci metri. Ci sono cinque chilometri di nessuno, con un ulteriore punto di controllo polacco nel mezzo.

Finalmente arriviamo al terminal bielorusso, dove vengono effettuati ulteriori controlli dei passaporti e dei visti, e dei passaporti dei cavalli, e dei permessi di transito. Tutto risulta in regola, e finalmente arriva alla dogana. Qui le cose cambiano di brutto: un'elegantissima interprete ci dice che non dovremmo essere lì, senza un mezzo di trasporto, che avremmo dovuto passare a Warshawski Most e che il suo capo è molto arrabbiato.

Comincia una lunghissima attesa, con i cavalli affamati in mezzo ai tir, sono ormai le sei, le sette, le otto, è ormai buio e c'è un continuo andirivieni di doganieri sempre diversi e ognuno compila qualche scartoffia diversa.

L'unico appiglio che ci permette di non disperare è un numero di cellulare, un contatto a Brest con una certa Lubov di cui non sappiamo nulla, ma che ci ha confermato via sms che ci aspetta fuori dal terminal. Tutti i doganieri sono impenetrabili, ma man mano che il tempo passa qualcuno sorride e quasi di nascosto mi fa capire che si troverà una soluzione.

Sono ormai le 10 di sera quando, risolti misteriosamente i problemi: un gentile camionista ci accompagna a piedi nel buio più fitto fino all'uscita vera e propria del terminal, dove c'è un ulteriore controllo dei documenti.

Ed ecco che dall'oscurità compare il volto sorridente di una donna, rimasta lì pazientemente ad aspettare per ore e ore. E di nuovo in sella, nella notte passiamo sulla circonvallazione di Brest, entriamo in periferia e dopo un po' arriviamo in un posto strano (nel buio) che sembra una bella casa con giardino, ma è invece la sede del distretto veterinario di Brest, di cui Lubov è il capo, il Glavni Vetvrac!

 Colazione nell'ufficio di Lubov

Sistemati i cavalli nel parato con fieno e avena, Lubov ci porta a casa sua, perché ci laviamo e rifocilliamo. Questi sono i momenti in cui si apprezza a pieno l'acqua calda sulla pelle e il cibo caldo nello stomaco e addirittura vestiti in prestito da mettersi subito addosso. Poi torniamo al distretto dove c'è un comodo divano letto. Così ci installiamo - strani ospiti! - per due notti nell'ufficio del veterinario capo del distretto di Brest.

 Glavni vetvrac, cioè "veterinario capo"

A soli 48 anni, Lubov ha una posizione di grande prestigio, è una bella donna dallo sguardo brillante e la risata contagiosa: anche con il mio misero russo non abbiamo avuto difficoltà a capirci. Si prende cura di noi come se fossimo i suoi figli, ci rimpinza con squisiti manicaretti e ci porta a visitare Brest e alcune cooperative agricole (kolkhoz) dei dintorni, alternandosi con Waleri, un suo collaboratore.

 Lubov con Terek

Waleri ha 29 anni, è anche lui veterinario, parla russo, polacco e tedesco, perché, ci dice, "io non ho solo sangue bielorusso nelle vene". Il suo tono sembra sottintendere una storia particolare che lo prego di raccontare. "Mio nonno materno era un tedesco del Kazakistan, che aveva rifiutato di arruolarsi con i nazisti e così era finito in un lager in Ungheria. Mia nonna invece era polacca, era stata deportata in Ungheria prima in un campo di lavoro, e poi internata nel lager per aver rifiutato le proposte di un ufficiale tedesco che gli aveva messo gli occhi addosso. Così i miei nonni si sono conosciuti in un lager, e io sono anche un po' tedesco e un po' polacco".

La strada per Mosca/7

Autunno bielorusso

Scrivo dalla calda e comoda stanza dell'agriturismo "Pervomaysky" non molto lontano dalla città di Smalievici, 40 chilometri a est di Minsk, in Bielorussia. Siamo stati accolti da Velia che, in costume tradizionale bianco con ricami rossi, ci ha offerto pane e sale in segno di benvenuto.

 Velia dell'agriturismo "Pervomaysky"

Poi abbiamo sistemato Tarek e Tarim nel centro sportivo a pochi passi di distanza e abbiamo brindato (con vodka) insieme ad un rappresentante della Provincia e un tecnico della locale stazione per la Fecondazione artificiale bovina. Eh sì, perchè in questa seconda trance del nostro viaggio in Bielorussia a prendersi cura di noi non sono solo i veterinari, ma anche gli zootecnici.

Freddo e pioggia

Abbiamo percorso più di 400 chilometri in Bielorussia, con una media di circa 50 chilometri al giorno.

 Foglie gialle

Le foglie stanno già cambiando colore e i bielorussi - che soddisfazione! - sono intabarrati quanto e forse più di noi. Ultimamente freddo pioggia e vento sono stati nostri stabili compagni di viaggio. Con il maltempo e le giornate molto più corte si è fatta avanti anche la stanchezza, cosicché adesso tutte le nostre energie sono concentrate nel procedere verso l'obiettivo finale: Mosca.

 Ripararsi dalla pioggia...

Abbiamo deciso di seguire il percorso più diretto possibile e abbiamo deciso anche di rinunciare alla nostra totale libertà di itinerario stabilendo delle tappe giornaliere in cui gli amici veterinari e zootecnici ci trovano una sistemazione al coperto per la notte.

 ...e controllare i ferri alla fermata dell'autobus!

Si impongono delle considerazioni quasi filosofiche: tre mesi di tempo per percorrere 3.000 chilometri sembrano tanti, ma danno un margine molto piccolo per gli imprevisti e sono necessarie molte rinunce, come quella di rifiutare l'invito di una persona simpatica a fermarsi un giorno in più da lei. Ci sono molti momenti in cui si maledice l'obbiettivo ambizioso che ci si è dati, ma al tempo stesso sappiamo che avere una meta da raggiungere è uno stimolo necessario per superare le difficoltà.

 Bisogna anche trovare il luogo adatto per scrivere

Terek e Tarim invece, che a differenza degli uomini vivono esclusivamente il presente, scoppiano di energia e di salute, anzi per loro le temperature tra 0 e 10 gradi sono ideali e con l'allenamento raggiunto fanno fronte alle tappe lunghe senza fatica.

Per la seconda volta

Credo che pochi italiani conoscano così bene la Bielorussia come noi che ci abbiamo trascorso più di un mese dieci anni fa, durante il nostro primo tentativo (fallito per motivi burocratici) di raggiungere Mosca a cavallo. Erano tempi in cui davvero per molti occidentali la Bielorussia era "terra incognita", così ignorata da non potersela nemmeno immaginare come pericolosa (come accadeva per l'Ucraina e la Russia): semplicemente non esisteva.

 Senza parole

Noi allora abbiamo avuto il grande aiuto di un baldo giovanotto, Vladimir Dolidovitch, responsabile dell'Associazione Italia-Bielorussia di Minsk, che si era preso la briga di contattare una decina di kolchoz sul nostro itinerario, presentandoci come "delegazione italiana... a cavallo!".

 Il nostro amico Oleg di Tolocin

Abbiamo potuto conoscere dal di dentro una realtà di difficile accesso come quella delle cooperative agricole, e abbiamo potuto parlare con le persone più disparate che altrimenti non avremmo mai incontrato.

Allora, il ritornello ovunque era uguale: "ransce... lucce", prima al tempo dell'Unione Sovietica, si stava meglio. Tutti condividevano questa opinione, ma sopportavano con grande dignità e senza mai lamentarsi, i tempi duri della nuova repubblica indipendente: stipendi miseri e prezzi altissimi. Siamo quindi molto curiosi di vedere e sentire che cosa è cambiato in questo tempo.

Nel kolchoz

Anche se non si parla più né di comunismo né di socialismo, la Bielorussia con il suo leader Lukashenko è l'unico stato dell'ex Urss a non aver permesso una privatizzazione selvaggia. In modo particolare l'agricoltura e l'allevamento sono gestiti dalle cooperative agricole chiamate ancora kolchoz.

 Nel kolchoz di Milovidi

Un kolchoz può essere molto grande e ricco e raggruppare il territorio di diversi comuni oppure può essere molto piccolo, formato da un paese con poche centinaia di persone. Noi ne abbiamo visti di grandi e di piccoli, di belli e di brutti, di ricchi e di poveri (su ammissione degli stessi presidenti). Ci è sembrato che allontanandoci dai centri principali come Brest o Minsk effettivamente si torni un po' indietro nel tempo e che i kolchoz più piccoli siano quelli più in difficoltà.

 Con il presidente del kolchoz di Talminovici

Dei vari kolchoz ci piace ricordare quello di Reviatici, un grosso paese tra Brest e Ivacevizi, dove siamo stati ospiti anche 10 anni fa e molte persone ci hanno riconosciuto. Dopo i tre brindisi rituali (all'incontro, all'amicizia e all'amore), il presidente ci ha portato a visitare il piccolo, ma curatissimo museo del kolchoz, dove oltre a foto e documenti dell'ultimo secolo sono conservati anche gli stendardi di velluto rosso riccamente decorati e ricamati con l'effige di Lenin.

"Fotografate, fotografate - ci hanno raccomandato, mostrandoci questi cimeli, e ripetendoci - questa è la nostra storia". Dopodiché hanno aperto uno stipetto segreto con diversi tipi di vodka speciale e ci hanno costretto ad assaggiarli tutti, intercalandoli con pane e "salo", il famoso lardo bielorusso.

Due cavalli in mezzo ai tori

Sono molto cambiate le cos e invece per Alexandar Nicolayevic Grigorovic, che all'epoca del nostro primo viaggio era solo il capo zootecnico dell'allevamento statale di tori di Nesviz, mentre ora ne è il direttore.

 L'allevamento dei tori a Nesviz

Da 40 il numero degli imponenti animali è salito a 100 e l'intero complesso si è molto ingrandito e abbellito, con una grande cura anche per i dettagli estetici. Da lui ci siamo fermati due giorni, ospiti nella foresteria della sua azienda e abbiamo ferrato per la seconda volta Terek e Tarim (dopo 2.000 chilometri di viaggio).

Strade larghe

Il paesaggio bielorusso è fatto di immensi campi, curati e ben coltivati (solitamente a cereali), e di immense foreste di conifere e di betulle. Le strade sono larghe, drittissime, con un'ampia fascia laterale in terra battuta, dove passano i tanti carretti a trazione equina usati per i piccoli trasporti.

 Puledro apprendista con la mamma

Solo le strade principali sono asfaltate, le altre sono di terra o di sabbia, ideali per noi che possiamo procedere in modo veloce sul terreno morbido. Allontanandoci dalla città, il traffico è pressoché nullo: qualche camion, qualche trattore, qualche rara bicicletta.

 Il camion del latte

Oltre ai mezzi moderni di ogni tipo, ci sono anche mezzi senza tempo, motociclette con il sidecar, che sembrano uscite da qualche vecchio film, camion-cisterna per il latte, azzurri con la scritta "latte" (moloko) in giallo, e soprattutto i camioncini per il "pane" (chlieb), testimoni di un tempo in cui l'abbondanza di questi due alimenti essenziali era ancora simbolo di benessere.Slobadà, Bielorussia 14 settembre 2007

La strada per Mosca/8

Colazione alla russa

Il sole che da qualche giorno ha fatto la sua ricomparsa sulla scena bielorussa - russa, fa brillare di riflessi iridescenti le lettere bianche del primo cartello veramente importante per noi: Smolensk 53 km, Mosca (anzi Moskva) 418.

 A Mosca solo 418 km

Siamo arrivati ieri in Russia e il passaggio del confine non è stato poi tanto difficoltoso (solo tre ore, più che altro dovute alla pausa pranzo del capo dogana), ma prima di parlare della Russia, sentiamo il dovere verso i nostri lettori di concludere il discorso sulla Bielorussia.

Bilancio bielorusso

Abbiamo aspettato così tanto perché non sappiamo nemmeno noi cosa pensare. Non siamo degli economisti ma dei semplici osservatori: e ci limiteremo a raccontare quello che abbiamo visto in questo nostro secondo viaggio.

 Autunno in Bielorussia

Non c'è dubbio che rispetto al 1997 il tenore di vita sia molto migliorato, nei negozi si trova di tutto, scuole e ospedali funzionano, gli stipendi e le pensioni vengono pagati regolarmente. Dieci anni fa fare una telefonata era un'impresa, oggi ci sono cellulari ovunque. Tuttavia ci sono ancora molti passi da compiere.

I prezzi sono alti, quasi come in Italia, e gli stipendi sono bassi: la media è sui 250 euro al mese, 500 euro sono un ottimo stipendio, un operaio ne prende 150 - 200, le pensioni sono sui 70 - 100 euro al mese. Ma i bielorussi che cosa dicono? Le persone con cui abbiamo parlato sostengono, quasi all'unanimità, che oggi in Bielorussia si vive bene, e dicono di essere soddisfatti e di avere buone speranze nel futuro.

A noi italiani, perennemente insoddisfatti, tutto questo sembra molto strano, tendiamo a pensare che la mancanza di critiche sia dovuta in parte a orgoglio di fronte allo straniero e in parte al timore atavico di manifestare apertamente la propria opinione.

È da considerare anche il fatto che abbiamo incontrato in gran parte persone che svolgono un lavoro ben remunerato (come i veterinari) e che sono più legate alla struttura del potere statale. Solo nelle campagne, come abbiamo già riferito, la gente afferma di essere "povera" e "trascurata" e più di qualcuno ancora rimpiange i tempi dell'Urss. Per il resto, quei tempi sono definitivamente andati e dimenticati.

 Campagna bielorussa

Il leader Lukashenko gode di un'incredibile popolarità sia tra i vecchi che tra i più giovani, viene citato spessissimo e se si fa presente che in Occidente viene considerato un dittatore tutti lo difendono a spada tratta dicendo che questo avviene solo perché si rifiuta di inginocchiarsi davanti a Bush e di svendere la Bielorussia.

Una voce contro

Ma proprio mentre stiamo rimuginando su questa situazione e cavalcando dotto una pioggerella autunnale su una stradina fangosa, ci capita uno strano incontro. Una macchina ci supera, si ferma e ne scende un tipo curioso che esordisce così: "Ma voi sapete che Napoleone ha dormito qui vicino?" E dopo le domande di rito (Chi siete? Da dove venite? Dove andate?) si presenta: "Sono Nicolaj Petrusenko giornalista di "Tovarish" ("Compagno"), l'unico giornale bielorusso di sinistra".

"Anch'io scrivo per un giornale", gli dico e l'entusiasmo di Nicolaj è tale che ci porta da dei conoscenti in una casa vicina e tra vodka e tè ci strappa un'intervista. Nel poco tempo a disposizione veniamo a sapere la sua opinione: in Bielorussia non si vive affatto bene, le campagne sono depresse, Lukashenko è un dittatore che pensa soprattutto a riempire le sue tasche e se i bielorussi non dicono nulla è perché hanno paura dell'uomo a cui hanno dato troppo potere.

Case e condomini

Dappertutto, nei paesi e nelle periferie delle città, le case sono di legno, a un piano, dipinte a colori vivaci, con l'intelaiatura delle finestre bianca, spesso traforata e intagliata. E sono case azzurre e gialle, azzurre e blu, verdi e bianche, gialle e marrone, talvolta addirittura rosa oppure lilla.

 Colori autunnali

Il sole, quando sbuca dalla fitta coltre di nuvole, fa brillare le vernici e la lunga fila di casette allineate lungo la strada, con le staccionate colorate e i giardini pieni di fiori, acquista un aspetto quasi irreale, da favola.

 Una casa azzurra

All'interno queste case di legno, per quanto povere possano sembrare, sono quasi sempre curate e ben tenute, con tappeti sui pavimenti e appesi alle pareti come arazzi, mobili di legno di stile un po' vecchiotto, con specchi e ninnoli ovunque. Le stanze si raggruppano attorno a una grande stufa centrale (pec) che va dal pavimento al soffitto. Un posto d'onore ce l'ha il divano letto che con un unico semplice gesto si trasforma in un ottimo comodo letto a una piazza e mezzo per gli ospiti.

I condomini costruiti negli anni sovietici hanno tutti un aspetto triste e grigio che li rende inconfondibili: intonaci scrostati, terrazzini sbilenchi, crepe sui muri, scalini uno diverso dall'altro. Ma anche in queste case, una volta varcata la soglia dell'appartamento, tutto lo squallore esterno è subito dimenticato perché la padrona di casa anche qui mette tutte le sue energie per rendere l'atmosfera calda e accogliente. Ai nostri occhi occidentali questo contrasto appare stridente e ce ne chiediamo più volte il motivo.

Kusciaite kusciaite

Il piatto nazionale bielorusso sono le patate, cucinate in tutti i modi possibili. Si chiamano kartoscke o bulba, in bielorusso. Pronunciare quest'ultima parola durante il pasto è un'estrema gratificazione per il padrone di casa: è al contempo apprezzamento del suo cibo e della sua terra. Anche i salumi non mancano mai: prosciutto, salame, salsiccia, wurstel, insaccati e affettati di ogni genere, spesso abbinati a pane ricoperto da uno spesso strato di burro, in una vera apoteosi del suino e del grasso animale.

 Tavola bielorussa con ogni ben di Dio

Ci sono invece delle ottime minestre, delle squisite insalate di cavoli, carote e rape rosse, crepès dolci (blinì) con panna e noci, tortelloni ripieni (pielmieni) con il burro fuso, e alla fine del pasto una buona tazza di tè o caffè accompagnata da biscottini e cioccolatini.

 Pielmieni, cioè tortellini

Tutto questo ha un'unica, continua colonna sonora: kusciaite kusciaite, "mangiate mangiate, che la strada è lunga".

 Un negozietto in campagna e una venditrice gentilissima

Il pasto si apre immancabilmente con un brindisi a base di vodka cui è quasi impossibile sottrarsi, e il bicchiere va svuotato in un solo sorso fino in fondo (da kanzà). Seguono poi innumerevoli altri brindisi con lo stesso cerimoniale.

La colazione non si distingue assolutamente dagli altri pasti: siamo ormai abituati a tutto, ma è ancora difficile per noi al mattino mandare giù wurstel e cetrioli, oppure una polpetta (kotlet) con contorno di grano saraceno (kasha).

 E qui si vende il "salo"...

Ed è così che ci si ritrova, al mattino prima di partire, a dover accettare un enorme pezzo di lardo per il viaggio: a Mosca mancano solo 10 giorni, e 400 chilometri.Gusina (Russia), 22 settembre 2007

La strada per Mosca/9

L'estate delle babe

Venerdì 21 settembre abbiamo finalmente varcato l'ultimo confine del viaggio, quello bielorusso - russo. Per sicurezza avevamo un punto d'appoggio vicinissimo, a soli sette chilometri, nel caso le cose fossero andate per le lunghe. Il numero di cellulare di un certo Parfenienkov e un indirizzo un po' misterioso: un allevamento nel micro - paese di Zyusky. L'impatto con la realtà russa, dopo quella bielorussa, è durissimo: le campagne sembrano totalmente abbandonate.

Seguiamo la stradina di sabbia, in un ambiente sempre più desolato e pieno di sterpaglia, quando un lucente fuoristrada con i vetri fumé si ferma dietro di noi e ne scende un giovanotto azzimato, vestito di un completo color tortora con panciotto nero, camicia e cravatta: è Alexej, l'emissario del nostro Parfenienkov, che viene a mostrarci il posto.

Scopriamo così che si tratta unicamente di una stalla di transito per animali da carne che vengono trasportati verso l'Ue. Il posto è buono e pulito, Tarim e Terek hanno a disposizione un box grandissimo e ci sono dei guardiani "con la pistola" (come Alexej sottolinea con un gesto significativo) 24 ore su 24. Noi invece veniamo scarrozzati in auto fino a un motel a 10 chilometri sulla "trassa" (così viene da tutti chiamata la strada principale M1). Alexej si libera di noi al più presto dicendoci che l'indomani qualcuno dei loro sarebbe venuto a prenderci alle nove e ci lasci soli a rimuginare sulla nostra prima notte in Russia.

Due cavalli in autostrada

Sabato 22 settembre dobbiamo affrontare con Tarim e Terek 44 chilometri di "trassa", non essendoci altra possibilità fino a Smolensk. E sono 44 chilometri di nulla, bosco e palude ininterotti, niente paesi, solo camion che sfrecciano di continuo accanto a noi.

 Betulle lungo la trassa

Per fortuna a Smolensk veniamo "presi in carico" dal capo veterinario del distretto, Anatolj Ilic, che si occupa di noi per due giorni trovandoci delle ottime sistemazioni. A Smetanina, nella periferia ovest di Smolensk siamo ospiti del suo collega Viktor Ivanov e siccome è sabato, giorno di rito della "banja", anche a noi viene offerta la possibilità di provare la sauna russa, che non è un semplice atto di igiene, ma è soprattutto un momento di socializzazione.

 Incontro

La casetta della banja, tutta di tronchi, si trova di solito nel cortile vicino alla casa: si suda, si chiacchiera, ci si percuote con fruste di rami di betulla, ci si insapona metodicamente, ci si rovescia addosso catini di acqua, si mangia e si beve.

 La cattedrale di Smolensk

Domenica 23 settembre impieghiamo l'intera giornata per percorrere la lunghissima circonvallazione sud di Smolensk, circa 40 chilometri di steppa e palude. Alla sera veniamo ospitati a Bogoroditse da Nedezda, e la sua gentilezza ci conquista al punto che le chiediamo di restare un giorno in più. Nedezda (Nadia) - che è bielorussa - conosce bene la differenza tra i due paesi.

"Qui le campagne sono state abbandonate a se stesse - ci dice - kolkhoz e sovkoz hanno chiuso, gli edifici sono andati in rovina, i trattori sono stati venduti, e che cosa è rimasto? Solo arbusti (chrustì) e incolto (burjan). Se le cose continuano così i paesi sono destinati a morire".

A Smolensk

Lunedì 24 settembre, una giornata di tempo stupendo (la cosiddetta "estate delle babe"), la trascorriamo a Smolensk, una città di 400.000 abitanti quasi completamente moderna. Nella grande piazza principale c'è sempre la statua di Lenin con il petto in fuori e lo sguardo teso verso l'orizzonte, ignaro della fine che sta facendo la Russia da lui immaginata. La città è tutta imbandierata di rosso per una festa, ma per il resto dell'Urss non è rimasto niente. Nell'aria limpida luccicano le cupole dorate della cattedrale e la gente affolla il grande parco dove gli alberi sono ormai tutti gialli.

 La statua di Lenin nella piazza di Smolensk

Ci attendono ora quattro giornate impegnative fino a Viasma, perchè vogliamo percorrere la cosiddetta Staraja Smolenskaja daroga, la vecchia strada di Smolensk, l'unica esistente fino alla costruzione (nello scorso secolo) della direttissima Minsk - Mosca. Lungo questo percorso sarà necessario di nuovo accamparsi, immaginando magari di essere i cosacchi di Gogol che, dopo aver impastoiato i cavalli, accendono un fuoco per cucinare e poi si coricano sotto le stelle avvolgendosi nei loro mantelli.

 La staraja Smolenskaja Daroga

Noi siamo leggermente più tecnologici di loro, ma di sicuro il nostro fisico è meno temprato.

Il monastero

La nostra strada, oltre che sulla carta topografica, è segnata anche con una riga gialla su una carta stradale al 750.000, quindi non abbiamo alcun dubbio sulla sua esistenza. Per i primi 80 chilometri è una strada normale, asfaltata, ma con una larga fascia sterrata sui due lati, percorsa da rare macchine e camion. Ma dopo la cittadina di Dorogobyzh le cose cambiano: la strada principale va verso nord, a Safonovo, e la nostra P134 viene dimenticata, l'asfalto scompare e così pure ogni cartello e ogni indicazione ai bivi.

 Paesaggio russo

Il paesaggio ha il sopravvento: un ininterrotto bosco di betulle con qualche pino, ogni tanto un fiume o un laghetto paludoso in cui gli alberi si specchiano con mille riflessi. Giungiamo così alla strada per il paese di Boldina con il suo monastero ortodosso.

 Il monastero di Boldina

Nella luce tersa dell'autunno il monastero ha un aspetto orientale con le sue cupole dorate, le forme rotondeggianti, le mura bianche; anch'esso si specchia in un laghetto e potrebbe essere un'antica città indiana del Rajastan. Ma l'incanto è rotto quando il frate portinaio come prima cosa ci chiede di mostrargli il passaporto.

Ludmilla, insegnante contadina

La nostra richiesta di ospitalità viene rifiutata senza spiegazioni, ci viene consentito solo di visitare la chiesa e poi veniamo indirizzati all'ultima casa del paese dove abita una persona, Ludmilla, che in qualche modo potrà darci una mano.

 Con Ludmila a Boldina

Così sistemiamo Tarim e Terek nel suo praticello e noi veniamo ospitati nella sua semplice casa di tronchi con un'unica stanza. Ludmilla, un'insegnante in pensione, si è trasformata per necessità da cittadina a campagnola con mucche, galline e campetto di patate. Ludmilla è vissuta molti anni in Siberia e da là si è portata dietro - come un cimelio - una vecchia lavatrice che qui non può funzionare perché l'acqua bisogna andarla a prendere al pozzo.

Povere donne delle campagne russe, che ancora devono subire la schiavitù di lavare tutto a mano.

 La strada di Napoleone

Oltre Boldina la strada, su cui è passato anche Napoleone nella sua campagna di Russia, diventa sempre più piccola e dissestata, finché di lei resta solo una pista sabbiosa piena di solchi profondi. Eppure è la direttrice carica di storia, come ci confermano le poche persone che incontriamo. È solo una pista adatta a essere percorsa a cavallo, anche se ogni tanto qualche auto e addirittura un camion carico di legna si destreggia tra le buche.

 C'era già ai tempi di Napoleone?

Quando il sole si nasconde dietro alle nuvole il paesaggio assume toni da antico acquerello, il marrone della strada, il rosso e il giallo, il verde morto dell'erba e i tronchi bianche delle betulle. I paesi segnati sulla carta sono composti da 10 case al massimo, molte sono abbandonate e in rovina.

 Negozietto a Semljevo

Un altro bivacco a Semljevo, stavolta un libero pascolo alle spalle del paese, e siamo a Viasma, dove decidiamo che una sosta è indispensabile per ritemprare le forze.

 Carlo Marx a Viasma

Ma ecco che capitiamo in un luogo che credevamo estinto: una vera "Gastiniza" (albergo), residuato dell'epoca sovietica, dove tutto è sghembo, sdrucito, scrostato e sgangherato. A differenza delle case, dove l'interno è sempre bello e accogliente, gli interni dei luoghi pubblici russi gareggiano in bruttura con l'esterno. Ci consoliamo pensando che Terek e Tarim, ormai al termine delle loro fatiche, si riposano nei box quasi lussuosi di una scuderia privata e cerchiamo di vedere i resti di un'antica attenzione estetica nella carta da parati a fiori rosa con brillantini, oppure nella tendina bianca con motivo a gigli.

 Le tendine della "gastiniza"

Nella piazza di Viasma accanto a Lenin c'è anche una pizzeria, alla russa, s'intende. Siamo stanchi ma stringiamo i denti, mancano solo 220 chilometri e cinque giorni alla meta.

La strada per Mosca/10

Nella Piazza Rossa

Piazza Rossa di notte. Non credevamo che fosse così bella soprattutto la chiesa di San Basilio sembra irreale, sembra una scultura di marzapane per un paese delle fiabe.

 Notte in Piazza Rossa

Il pasticcere si è sbizzarrito soprattutto con le cupole, una diversa dall'altra e di colori diversi: rosso e giallo, giallo e verde, bianco e rosso, bianco e azzurro, giallo rosso e verde. E ci sono le grandi stelle rosse che luccicano sulle torrette del Cremlino, e le campane della cattedrale di Kazan che risuonano nell'aria. I cavalli si sprecano nelle statue equestri e nella grande fontana di bronzo dei giardini di Alexandrov. Già i cavalli, i nostri fidi Tarim e Terek, dove sono, mentre noi ce ne stiamo a fare i turisti senza di loro?

Malinconie metropolitane

 L'arrivo al maneggio "Sharapovo"

Arrivati alla meta il giorno 5 ottobre alle 18 circa, Tarim e Terek sono adesso al maneggio "Sharapovo" nella periferia ovest della megalopoli russa, e si godono il meritato riposo dopo aver percorso 3.000 chilometri. Per quanto riguarda noi, la tensione e la contentezza delle prime ore se ne sono ormai andate, e come al solito alla fine di un lungo viaggio resta un po' di delusione e una sottile apprensione per il ritorno.

 Cupole dorate di Mosca

Finché si viaggia si è in una specie di dimensione separata, parallela, dove i problemi principali sono quelli di trovare acqua, fieno, avena per i cavalli, quando il viaggio finisce e ci si ritrova in albergo, come tutti i turisti, è un brutto precipitare in una dimensione fatta di mezzi di trasporto veloci, è come un grosso cambio di fuso orario. Questo è tanto più evidente se la meta raggiunta è una città, e per giunta una città immensa come Mosca, dove non puoi certo sognarti di entrare in centro a cavallo.

 San Basilio

Infatti adesso siamo qui in attesa di un permesso ufficiale che ci consenta di andare, se non nella piazza Rossa, almeno nelle immediate vicinanze. Questa parte finale, che per mesi abbiamo rimosso, tesi come eravamo nel procedere giorno per giorno per 3.000 chilometri, adesso ci appare assolutamente incongrua, quasi assurda.

 Foto di gruppo con levriero russo

È da sabato 6 ottobre che piove. Ci rifugiamo nel pensiero degli ultimi giorni di viaggio, di vita più autentica sulla strada. Siamo stati veramente fortunati dopo 20 giorni bielorussi di pioggia e freddo, la Russia ci ha accolto con un tepore quasi estivo durante il giorno, anche se di notte la temperatura è sempre sceso a zero gradi.

Il rumore dei camion

Purtroppo abbiamo dovuto per ben due giorni, da Viasma a Mozhaisk, percorrere anche noi la strada principale (trassa) M1 che collega Brest con Minsk e Mosca e che è l'unica possibilità esistente. Anche se a quattro corsie, non si tratta di un'autostrada nel senso in cui la intendiamo noi: infatti è aperta ai veicoli di qualunque genere, dai trattori alle biciclette ai carretti trainati da cavalli.

 Monumento al generale Kotuzov

Non è raro vedere passare un gregge di pecore o una mandria di mucche dirette a un pascolo. Ma il traffico principale è costituito da un quasi ininterrotto flusso di tir, che portano merce verso la capitale russa e oltre. Cavalcando sulla fascia sterrata che fa da corsia di emergenza abbiamo imparato a riconoscere i camion dal rumore che proviene alle nostre spalle: ci sono quelli completamente chiusi che arrivano con un rumore compatto, come di un blocco di metallo che penetri l'aria; quelli con sun telone più o meno sbatacchiante; quelli vecchissimi che di solito trasportano mattoni o tubi e fanno un rumore sgangherato di ferraglia; i peggiori, quelli sibilanti, sono i camion a rimorchio che trasportano automobili destinate a incrementare traffico e inquinamento.

Ne abbiamo visti passare a centinaia: di solito viaggiano in carovane, cinque o sei assieme, uno dopo l'altro. I nostri cavalli, abituati a situazioni di ogni genere, non hanno assolutamente paura e vanno imperterriti per la loro strada. Siamo noi ad avere paura, consapevoli del rischio che corriamo. A onore degli autisti russi dobbiamo però dire di non aver assistito al benché minimo incidente.

Terek e Tarim hanno semmai paura di un pericolo per noi inesistente, che ai loro occhi assume le forme sempre diverse delle tante carcasse di pneumatici che si trovano sul bordo della strada. Cominciamo così ad osservarle anche noi con attenzione scoprendone gli aspetti inquietanti di serpentoni neri acquattati tra l'erba in attesa della preda oppure le forme quasi da scultura astratta, indecifrabile, dei rottami su cui arenano le foglie gialle portate dal vento.

Lungo la trassa

Per decine di chilometri lungo la trassa non c'è niente, nemmeno un distributore, in altri punti, come nella città di Gagarin, ci sono centinaia di baracchette che vendono le cose più disparate, dagli asciugamani al pesce affumicato. Ogni tanto si vedono dei secchielli rossi o blu ben in evidenza sulla banchina: sono i venditori di funghi, o di mele o di patate, che aspettano ore e ore sul bordo della strada per guadagnare pochi rubli. Non devo distrarmi neanche un attimo perché altrimenti Terek, scafato com'è, si dirige dritto dritto ad assaggiare le mele che sono la sua passione.

 Ingresso nella regione di Mosca

Nelle vicinanze di Gagarin abbiamo l'indirizzo della scuola di equitazione di Olga e Andrej e così lasciamo la trassa per andare al paesino di Trufany: il traffico cessa di colpo, passa forse una macchina ogni dieci minuti, e la strada si snoda solitaria in mezzo a campi ormai abbandonati da anni dove già crescono le betulle giovani. Se si vede un alberello in mezzo alla strada, quello è il segnale che c'è una buca profondissima e che quindi bisogna procedere con la massima circospezione.

 Sulla trassa

La tappa successiva a Gagarin è il maneggio di Shevardino, dove veniamo accolti con calore da Galina e Kosma. Il posto si trova a poche centinaia di metri dal famoso campo di battaglia di Borodino, dove il 26 agosto 1812 l'esercito di Napoleone e quello russo di Mihail Kotuzov si scontrarono in una sanguinosa battaglia durata 15 ore, durante la quale morirono 100 mila soldati.

 Il campo di battaglia a Borodino

Appena si lascia la trassa, i paesaggi sono stupendi: grandi campi aperti, verdi di grano appena spuntato, e in lontananza i gialli boschi di betulle, e basse colline che si susseguono come onde lunghe. Ormai la distanza da Mosca si riduce sempre più, non sappiamo nemmeno noi se essere felici o cercare di rallentare il viaggio per farlo durare di più.

Uno strano incontro

Il penultimo giorno di viaggio ci capita uno strano incontro. Attraversando il paesino di Shaskovo, stretto fra la trassa, la vecchia strada e la ferrovia, ci fermiamo per abbeverare Terek e Tarim ad un pozzo e poi controlliamo i loro ferri, che hanno ormai quasi mille chilometri. Un posteriore di Terek è molto consumato e Dario si accinge a cambiarlo. Ma i cavalli sono irrequieti, nonostante sulla strada non sia nessuno. Un'occhiata intorno, tutto è tranquillo, riprendiamo il lavoro.

Poco dopo uno scalpiccio di zoccoli attira la nostra attenzione e alzando gli occhi assistiamo a una specie di miraggio: una mandria di cavalli attraversa la strada al galoppo, sollevando una nube di polvere. Cavalli e puledri bianchi, grigi , scuri. La mandria è incitata da un guardiano in sella e da un giovanotto in motorino. Poco dopo i cavalli sono spariti dietro le case e il giovanotto viene a fare la nostra conoscenza.

Si chiama David e i cavalli sono dello zio Osman che ha una scuderia a pochi passi da lì, si tratta di animali della - per noi misteriosa - razza Karaciaevskaja. Osman proviene dal Caucaso settentrionale e ci racconta che quando Stalin deportò in Siberia molte popolazioni del Caucaso tra cui i Karaciani, volle anche cancella re la storia dei due animali - simbolo di questa gente: i cani da pastore e i cavalli. Questi furono presi dai vicini Kabardini, tant'è vero che la razza Kabardina è ben conoscibile dagli appassionati. Quando Kruscev riabilitò i Karaciani e li lasciò tornare alle loro terre, questi non trovarono più nulla.

 Osman con il suo stallone Karaciavskiano

Ancor oggi la razza Karaciaevskaja non viene ufficialmente riconosciuta, e si tende a parlarne il meno possibile, ci dice Osman. Un grumo di storia tragica del '900 si è impigliata qui, tra la trassa e la vecchia strada, e noi per caso vi ci siamo imbattuti.La terra è rotonda, ci dice Osman accomiatandosi, forse un giorno ci rivedremo, perché no?

Arrivederci, allora, a un prossimo viaggio. Magari sul Caucaso.