Equidistanze

Viaggio in Polonia

La via dell'ambra

RACCOLTA DEGLI ARTICOLI COMPARSI SETTIMANALMENTE SU "IL NUOVO" A PARTIRE DALL'11 LUGLIO 2003

1 - LA PARTENZA

St.Georgen am Laengsee, lunedì 7 luglio 2003. Scrivo da un idillio carinziano: sono sul terrazzo di una deliziosa casa contadina, lo sguardo spazia su colline, prati e boschi in tutte le gradazioni del verde, mentre a poca distanza da noi pascolano placidi i cavalli nei loro recinti. Ma il viaggio è cominciato molto tempo fa, sulle carte e nella nostra fantasia. Il progetto: da circa 10 anni ogni estate girovaghiamo a cavallo per l'Italia e per l'Europa, sempre partendo da casa e sempre senza alcun mezzo d'appoggio. Siamo già stati in Francia e in Germania, in Slovenia, Ungheria, Romania, Ucraina e Bielorussia. Quest'anno abbiamo pensato alla Repubblica Ceca e alla Polonia, paesi alla vigilia di un grande cambiamento in quanto già nel 2004 entreranno a far parte dell'Unione Europea. Il percorso che abbiamo scelto corrisponde agli antichi itinerari commerciali che collegavano il Mar Baltico al Mar Mediterraneo, la cosiddetta “via dell'Ambra”. Così attraverseremo Carinzia, Stiria e Bassa Austria, entreremo nella Repubblica Ceca a Mikulov cavalcando verso Nord vicino a Brno e Olomouc. In Polonia poi cercheremo un tragitto il più diretto possibile per arrivare al Baltico. Abbiamo a disposizione 2 mesi di tempo per fare circa 2000 km. I nostri compagni di viaggio sono Terek, il veterano, un cavallo anglo-arabo-sardo di 11 anni, e Diamantea detta Tea, un cavallo da sella italiano di 7 anni.

 A Buja da Gabri e Alessandro

Friuli:chi trova un amico trova un tesoro, ed è per questo che nei primi giorni di viaggio cerchiamo di fare sempre tappa da amici. Quindi mercoledì 2 luglio da Buia a Moggio costeggiamo il Tagliamento e il Fella gonfi di acqua biancastra. Giovedì 3 luglio da Moggio a Valbruna, al piccolo maneggio di Prati Oitzinger. Percorriamo tutta la val Dogna sotto la pioggia via via più forte finché un vero diluvio ci coglie nel punto più impegnativo, la discesa dal Rifugio Grego in Val Saisera. Venerdì 4 luglio siamo costretti a partire sotto la piaggia, perdiamo pure un ferro e lo rimettiamo riparandoci sotto un ponte. Da Tarvisio la vecchia via Romana si snoda sinuosa molto al di sopra dell'autostrada. Alle 15 passiamo il confine a quello che era il posto di dogana di Coccau: le macchine e i cavalli vanno dritti oltre le guardiole polverose.

 Al confine di Coccau

Carinzia:l'architettura è cambiata già da un po' prima del confine, casette tutte molto simili, dai colori pastello (rosa, malva, violetto, giallino, celestino) con grandi cascate di geranei e petunie alle finestre. L'occhio del viaggiatore a cavallo si bea della ricchezza dell'erba e del suo verde intenso. Quasi ovunque le corsie ciclabili accompagnano le strade, ci sono innumerevoli percorsi escursionistici, di solito ben segnalati. In Carinzia una rete di percorsi equestri chiamata “Reit-Eldorado”, con tanto di segnaletica specifica e cartina collega tra loro i centri equestri sparsi per ogni dove. All'inizio costeggiamo la grande catena delle Caravanche, poi saliamo sulla dorsale (Ossiacher Tauern) che racchiude il Lago di Ossiach per scendere a Feldkirchen e St.Veit nella valle della Glan. Il sole splende e il paesaggio è da cartolina - ma anche in Austria l'abbandono delle attività economiche tradizionali come l'allevamento sta dando un duro colpo alla secolare cultura contadina che si era conservata orgogliosamente. Fotografiamo fattorie cariche di storia, attorniate da mucche al pascolo e grandi peri carichi di frutti. Ma i paesi sono silenziosi e deserti, non si trova nemmeno un negozietto, mentre crescono le villette di chi è in fuga dalla città.

2 - CAVALLI E MUCCHE DELLA STIRIA

Aflenz (Stiria), lunedì 14 luglio 2003. Scrivo seduta sotto un grande salice nel maneggio del sig.Johann Holzer, in uno splendido mattino di sole stiriano. Il tavolo è ancora ingombro di bottiglie di birra e calici di spumante. Ieri qui c'è stata una gara e si è festeggiato. I padroni di casa ci hanno accolto a braccia aperte, ci hanno lasciato piantare la tenda nel loro giardino e ci hanno subito inglobato nella loro allegria. E stamattina alle otto già ci attendeva un vassoio di paste e panini freschi, e caffè a volontà. L'ospitalità austriaca verso di noi viaggiatori anomali è un bene davvero prezioso: immediata e pratica, cordiale e mai invadente, ti mette subito a tuo agio senza perdere tempo. Si sistemano i cavalli in un recinto o in un box, poi si pianta la tenda, quasi sempre su un bel praticello-moquette, nessuno si fa meraviglia del nostro viaggiare spartano, siamo sempre circondati da grandi manifestazioni di ammirazione e complimenti (indirizzati, come è giusto, soprattutto ai cavalli) e la mattina la colazione non manca mai. Tutto questo ovviamente fa benissimo al morale. Siamo ormai completamente al di fuori del normale giro del turismo, anche di quello “alternativo” in bici o a piedi, e per passare la notte ci rivolgiamo a maneggi o a privati che hanno cavalli e che ci vengono indicati dal nostro ospite della sera precedente oppure per strada da qualche oste ben informato. Martedì 8 luglio è stato il nostro ultimo giorno in Carinzia: lasciato il lago Längsee nelle vicinanze di St. Veit an der Glan, abbiamo seguito verso Nord un lungo itinerario chiamato “Sentiero Norico”. All'inizio unisce una serie di fattorie biologiche, sparse in mezzo a dolci colline, poi sta alto su un crinale, collega antiche chiese votive meta di pellegrinaggio e infine scende a Muehlen...e siamo già in Stiria/Steiermark. A Muehlen abbiamo l'indirizzo di Franz Khom, un allevatore che come molti altri si è dovuto “riciclare” passando dalle mucche ai cavalli in una transizione sovvenzionata dallo stato.

 Incontro equino ad Aflenz

Mercoledì 9 luglio ci attende la cavalcata della cresta dello Zirbitzkogel, una montagna erbosa ma ripida che è la nostra scorciatoia verso il cuore della Stiria.

 Sullo Zirbitzkogel con Franz Khom

Ci fermiamo per una sosta alla Rohrerhuette, a 1800 m di quota. La vecchia malga accogliente, ben lontana dall'essere “a norma” con lavelli d'acciaio e porte di sicurezza, è tutta circondata da un recinto per... tenere a bada gli animali al pascolo, mucche e invadenti cavalli. L'oste (der Wirt), sfregiato e burlone come nelle migliori tradizioni, delizia i suoi avventori con sconfinate panzane (si vanta di possedere il tavolo su cui Franz Josef avrebbe firmato la dichiarazione della prima guerra mondiale nonché le sue sedie da campo costruite con corna di cervo!) e serve fette di pane nero spalmato di burro, formaggio al kuemmel e palacinche ripiene di marmellata di mirtilli che l'aria di montagna rende ancora più buone. Verso sera chiediamo ospitalità all'oste di un piccolo paesino, St.Anna in Lavantegg. Anche il signor Josef Leitner è dovuto passare dalle mucche ai cavalli. Nell'entrata dell'antica Gasthof fanno bella mostra di sé i numerosi premi che aveva ottenuto nella sua precedente attività: invece di normali coppe e medaglie, sono poderosi campanacci da mucca con relativo collare, in cui sono “incastonate” per così dire, le targhe di riconoscimento. Quando Josef ne parla i suoi occhi si velano di nostalgia e la voce gli trema leggermente (“altri tempi...”). Percepiamo il lamento di una cultura secolare che sta morendo. È evidente che la crisi dell'agricoltura di montagna non è solo un fatto economico ma soprattutto culturale. Comunque anche Josef Leitner, come altri, ne fa risalire le cause all'ingresso dell'Austria nell'Ue e vede in modo catastrofico l'allargamento a Est. Dopo St.Anna scendiamo nella larga valle della Mur, dove le attività agricole sembrano tuttavia non riconoscere grande declino. Poco prima di Leoben infiliamo una valle laterale e di nuovo immersi in un idillio stiriano odoroso di stalla, di fieno e di abeti ci allontaniamo dalla Mur puntando a nordest verso il massiccio dello Hochschwab.

 Balcone fiorito

3 - VERSO IL DANUBIO

Stollhofen (Bassa Austria), domenica 20 luglio 2003. 33 gradi all'ombra: stavolta non scrivo da un idillio montano, abbiamo ormai alle spalle le Alpi, siamo a pochi chilometri dal Danubio e dobbiamo pensare a riparare la zucca dall'implacabile sole mitteleuropeo. Sotto la tettoia cercano l'ombra, oltre a noi, anche i tre cavalli grigi del nostro ospite, il sig. Valentin Stipsits, un colonnello in pensione che dietro la sua casa ha costruito per suo hobby questa piccola e bella scuderia tutta di legno. I tre equini sono curiosi e si sporgono oltre la loro staccionata cercando di assaggiare tutte le cose insolite che abbiamo con noi, dalla carta topografica al berretto ai fogli stessi su cui scrivo.

 Equini curiosi

Negli ultimi giorni abbiamo scavalcato i Bassi Tauri che dividono la valle della Mur da quella del Danubio. Punto chiave è stato Maria Zell, antico santuario meta di pellegrinaggi da tutta l'Austria. Nei 5 giorni che abbiamo impiegato ad attraversare la catena montuosa abbiamo avuto modo di osservare i boschi di cui tutto il territorio è ricoperto. Si tratta di boschi di conifere dai fusti altissimi. Curati e sfruttati in un equilibrio ideale, costituiscono una importante fonte di reddito per gli abitanti della zona, come tutti ci hanno raccontato. Nel fondovalle crescono, lungo i torrenti, noccioli, tigli e aceri. Abbiamo visto numerosi, magnifici tigli pluricentenari, isolati in mezzo ai prati, oppure davanti alle fattorie, testimonianza evidente di un'antica presenza slava. Ai margini dei boschi sono ovunque frequentissime le postazioni sopraelevate (simili a minuscole casette su palafitte) in cui il cacciatore-cecchino può tendere l'imboscata alla sua preda standosene comodamente seduto. I cavalli percepiscono, ben prima di noi, la presenza di animali selvatici, indicandoceli con l'espressione attenta e le orecchie puntate in avanti.

 Luccichio del fiume Mur

Forse ai nostri lettori interesserà sapere qualcosa di più sui nostri compagni di viaggio, il cui benessere assorbe buona parte delle nostre energie. Terek, che è un cavallo maschio di 11 anni dal mantello scuro con una bella lista bianca sul muso, prepotente ma anche generoso e leale, è un vero esperto di lunghi viaggi. Superata la naturale diffidenza equina per tutte le novità, conosce e apprezza ormai i fieni e le granaglie di mezza Europa. Nato nei magri pascoli della Sardegna, considera leccornie anche piante poco appetibili come felci e cardi. Diamantea, detta Tea, nata a Orsaria di Premariacco e vissuta nelle comodità fino a 5 anni, comincia a trovarsi a suo agio solo ora, dopo due anni di apprendistato, nel ruolo di cavallo delle lunghe distanze. Ha un carattere in apparenza scorbutico ma è talmente affezionata al suo compagno di viaggio che la notte deve dormirgli sempre accanto. Per noi il principale impegno consiste nel trovare ogni notte il ricovero e il cibo adatto per Tea e Terek. Un cavallo in viaggio ha bisogno di 6-8 kg di cereali al giorno (avena, orzo, mais) e di un'analoga quantità di fieno, alimenti semplici ma di difficile reperimento nell'era delle macchine e degli idrocarburi. Ma l'Austria, paese “pferde-freundlich” (ben disposto verso i cavalli), non ci delude mai: il cavallo resta sempre una presenza forte nell'immaginario collettivo e questo ci apre le porte e i cuori.

4- OLTRECORTINA

Slavnov v Brno (Moravia), domenica 27/7/2003. Il caldo mitteleuropeo non accenna a diminuire: scrivo queste righe sudate al tavolino di un bar sotto un ombrellone. Da giovedì siamo nella Repubblica Ceca, ma prima abbiamo attraversato il Danubio e tutta la Bassa Austria diagonalmente verso nord-est. Il grande fiume è una vecchia conoscenza per i nostri cavalli che lo hanno già passato più volte nei viaggi precedenti su ponti e traghetti; per noi è un appuntamento atteso, un traguardo intermedio dopo 21 giorni di marcia. Peccato che stavolta perda parte del suo fascino perché lo passiamo sulla diga della centrale elettrica di Altenwörth che in realtà sarebbe vietata ai cavalli - ma per noi fanno un'eccezione perché veniamo da così lontano.

Oltre il Danubio il paesaggio cambia radicalmente: niente più montagne e boschi di abeti ma colline coltivate a cereali, i colori dominanti sono il giallo e l'ocra-siccità. Le case sono a un piano, senza parti in legno, dalla strada sembrano minuscole ma in realtà si estendono verso la campagna con ampi cortili segreti. I nostri vari padroni di casa fronteggiano la calura organizzando grigliate sul bordo della piscina (chi ce l'ha) oppure passando la serata all'aperto negli Heurige (frasche) in un tripudio di carni suine e boccali di birra.

 Girasoli

Prima di lasciare l'Austria facciamo un piccolo bilancio: l'Italia, soprattutto quella balneare, gode di grande popolarità, ovunque incontriamo persone che sono appena state o stanno per andare a Lignano, Grado, Bibione. La cucina italiana ci viene continuamente glorificata e abbondano le situazioni buffe in cui questo succede proprio mentre l'oste o la padrona di casa ci sanno servendo qualche manicaretto austriaco. “Ah, come è buona l'insalata italiana, quando vado a Lignano mangio solo insalata, ma come fate a farla così buona?” esclama in visibilio la mia vicina di tavolo. “Sarà l'olio di oliva, ma il vero segreto consiste nello sgocciolarla bene”, le rispondo mentre sto faticosamente ripescando le foglie di lattuga dal brodino alto due dita in cui sono affogate. “Ma come, tutto qui? Non è possibile!”.

 Dalla prospettiva dei cavalli

Giovedì mattina (24/7) percorriamo per molti km una stradina di campo proprio lungo il confine tra Austria e Repubblica Ceca. I cippi verniciati di bianco e rosso spuntano qua e là tra l'erba alta e il mais a segnare quello che era uno dei confini più chiusi e presidiati e che tra un anno non esisterà più.

Però passare un confine a cavallo è ancora un'avventura perché nessun doganiere ha mai visto transitare cavalli privi di camion. Le procedure burocratiche non durano mai meno di due ore e sono momenti faticosi e stressanti.

 Il maneggio di Lubomir

Passiamo la prima sera ceca nel maneggio di Lubomir Hlavenka, a pochi km dal confine e facciamo un giorno di sosta per ferrare i cavalli. Non lontano dalla città di Mikulov, in una valletta tra le colline, sorge un enorme complesso di edifici, in parte fatiscenti (una ex fornace e una ex cooperativa agricola). Lubomir li ha avuti in restituzione dallo stato nel 1990: questi terreni erano appartenuti ai suoi avi e suo nonno se li era visti togliere prima nel 1938 dai nazisti e poi nel 1948 dal governo comunista. Lubomir, che faceva il fotoreporter, si è riciclato in allevatore di cavalli. Da lui apprendiamo che qui non esistono piccoli allevatori e contadini, che di solito sono il nostro punto di riferimento per la sussistenza equina. Di conseguenza dovremo fare affidamento per le soste solo sui club ippici, scarsi e di difficile individuazione.

5- PASSAGGIO IN MORAVIA

Nachod, martedì 5 agosto 2003. Abbiamo ormai attraversato tutta la Repubblica Ceca da Sud a Nord e ci prepariamo a passare il confine con la Polonia. Questo nostro passaggio in Moravia è durato qualche giorno più del previsto per il caldo soffocante che ci ha costretto a rallentare l'andatura. “Horko je” - non è una parolaccia ma significa semplicemente “fa caldo” in lingua ceca. Purtroppo la pacchia linguistica è finita: non più il tedesco, lingua di cui conosco le sfumature, ma il ceco, di cui non conosco quasi nulla. Il caldo che imperversa fa sì che l'abbigliamento dei cechi sia piuttosto balneare, soprattutto al fine settimana schiere di belle ragazze in bikini si dedicano al ciclismo, sport che sembra molto popolare in Repubblica Ceca. Per i visitatori di sesso maschile il rischio di un torcicollo non è affatto remoto e al viaggiatore a cavallo potrebbe capitare qualche capogiro gettando l'occhio - dall'alto della sella - nelle generose scollature estive che gli si mostrano in una prospettiva alquanto insolita.

 Nella piazza di Olomouc

In una giornata di riposo per i nostri destrieri siamo saliti prima su un bus e poi su un treno e infine su un tram sferragliante per andare a visitare Olomouc, seguendo la raccomandazione fattami espressamente da Paolo Rumiz prima di partire. Olomouc, capitale segreta della Moravia, nasconde i suoi gioielli in due piazze della città vecchia racchiuse in una corona di brutti palazzoni grigi. Le case del centro storico, in gran parte rimesse a nuovo, sfoggiano tutti i colori un po' sopra le righe dei gelati fatti con le polverine: pistacchio, fragola, melone, albicocca, menta. La chiesa di San Michele è di un barocco che ti annichilisce, la cattedrale di San Maurizio ci accoglie con onde di musica d'organo. Ci sono molti pellegrini, con zaino e anche con saio... clerici vagantes e noi equitantes vagabondi per un giorno appiedati.

 Casa verde a Olomouc

A nord di Olomouc si estende una zona collinosa e boscosa inframmezzata da campi di cereali lunghi chilometri e chilometri. I paesi sono compatti, strutturati, file di case una attaccata all'altra che mostrano al passante solo la facciata e una serie di porte e portoni ermeticamente chiusi. Nulla si muove all'esterno. Ma all'interno dei cortili-chiostri ferve la vita che non si manifesta. Quelle che sembrano casette sono in realtà grandi fattorie che si sviluppano perpendicolarmente alla strada, con stalle, fienili, ripostigli, garage, pozzi, orti e giardini interni, impenetrabili all'occhio del passante vagabondo.

Man mano che ci si avvicina alla Polonia i paesi si destrutturano e finalmente le case si presentano staccate una dall'altra con il giardino o l'aia tutt'intorno. Passiamo lo spartiacque tra il bacino del Mar Nero e quello del mare del Nord e del Baltico. Sui monti Orlicki le acque scorrono verso nord, verso l'Oder o l'Elba. E ci accomiatiamo anche dalla cucina ceca dove la colazione non si distingue dagli altri pasti. All'alba abbiamo provato le uova strapazzate con salsa piccante, gli gnocchetti, l'affogato (fettine di maiale sottaceto), gli spinaci con cipolla e panna. Ma la cucina ceca è entrata anche nella comunicazione on-line: infatti qui la chiocciola della e-mail è detta “zavinacce”, filetto di aringa arrotolato intorno a una cipollina e messo sottaceto.

 Cena ceca

6 - “LI PORTIAMO DA ARTURO!”

Brzeg, martedì 12 agosto 2003.Siamo in Polonia ormai da una settimana e abbiamo percorso diagonalmente verso Est tutta la Slesia occidentale, passando a circa 45 km dalla sua capitale Wroclaw (Breslavia), in attesa di dirigere il nostro itinerario verso Nord, verso il mar Baltico. La nostra marcia è stata molto rallentata dal caldo afoso (“goronzo” - in polacco), così a malincuore abbiamo deciso di non fare una sosta per andare a visitare Breslavia per non trovarci poi in difficoltà nel raggiungere la nostra meta.

 Al confine polacco

Entrando in Polonia, il cambiamento di paesaggio è stato drastico: non più paesi compatti ed enormi campi di cereali lunghi km e km, coltivati dalle cooperative agricole, ma fattorie isolate, campi e campetti, boschi e prati, animali al pascolo. Infatti la Polonia è stato l'unico paese dell'Est socialista che ha mantenuto la proprietà privata della terra, limitandosi a collettivizzare i soli latifondi. Anche le reazioni al nostro passaggio sono molto diverse rispetto alla Repubblica Ceca. E' ovvio che l'improvvisa apparizione in un paesino di due persone a cavallo con tutti i bagagli ben fissati alla sella è difficile da ignorare, ma i cechi sanno nascondere bene il loro stupore e talvolta ti passano accanto facendo finta di non vederti, salvo poi girarsi a guardare chi diavolo siamo quando credono che non ce ne accorgiamo. In Polonia è tutto completamente diverso: espansività e curiosità non trattenuta, sorrisi, saluti ed espressioni di sorpresa e di ammirazione. Tutto questo ha certamente un rovescio della medaglia quando a ogni sosta ci si ritrova attorniati da decine di bambini curiosi e anche un po' petulanti, ma allarga il cuore del viaggiatore a cavallo e gli semplifica grandemente la vita in quell'incerto momento serale in cui deve cercare un tetto per sé e per il proprio destriero. Qui in Polonia l'ospitalità è quasi sempre alla grande, la famiglia che ti accoglie nel suo cortile o nella sua casa ti prepara la cena (“kolazia”) e la colazione (“sniadanie”) e ti offre il ristoro di una bella doccia (“prisniz”) che dopo un'intera giornata sotto il sole cocente e nella polvere della strada è forse la cosa più gradita. Per i nostri cavalli è un po' meno semplice trovare tutto il necessario (che in pratica si riduce a fieno, avena e un posto sicuro in cui legarli) perché anche se qui in Polonia ci sono ancora moltissimi piccoli contadini, la maggior parte ormai non ha più mucche (e tantomeno cavalli) e si limita a tenere maiali e galline. Però in ogni paese c'è qualcuno che ha del fieno o dei cereali da vendere e così con un po' di pazienza alla fine quello che ci serve salta fuori.

 Ospitalità polacca

Per dare ai nostri lettori un'idea più precisa di come cerchiamo alloggio e di come siano ospitali i polacchi, vorremmo raccontare una serata-tipo, quella di Wojborz, un piccolo paese ancora vicino alla Repubblica Ceca. Quando, verso le 18 di giovedì 7 agosto, arriviamo nella piazzetta del paese, questo ferve di mille attività. Entro nello “sklep” (negozio) a comprare due bibite fresche mentre Dario aspetta sul marciapiede con i cavalli. Il tempo di pagare e di uscire e già ci sono due uomini (con due bambine in braccio in contemplazione degli equini) che cercano di scoprire chi siamo e dove mai vogliamo andare. Il polacco è una lingua ostica e anche se ne ho studiato i rudimenti per qualche mese prima di mettermi in viaggio, riesco a spiegarmi solo con grande difficoltà. Ma questo per fortuna non scoraggia i nostri interlocutori: li sentiamo confabulare un po' analizzando il problema di come procurarci un tetto e ripetere un paio di volte una frase che potrebbe suonare come “Li portiamo da Arturo!”. Detto fatto: ci fanno cenno di seguirli su per le strade del paese, mentre altre persone si aggregano al gruppo. Qualche centinaio di metri ed entriamo nel cortile di una fattoria dove c'è ancora altra gente ad attenderci e a farci gli onori di casa, ma nessuno che si chiami Arturo, così pensiamo di aver capito male il nome. Riusciamo a realizzare soltanto che la padrona di casa, una giovane donna sulla trentina, si chiama Danuta e parla un po' di spagnolo perché per due estati consecutive è stata a fare la raccolta delle fragole in Spagna. Qualcuno porta il fieno, un altro arriva con un secchio di avena, Danuta ci mostra il bagno e prepara qualcosa da mangiare. Potremmo montare la tenda nel giardino ma c'è una bella casettina di legno che loro chiamano “altana”, simile a un gazebo e arredata con qualche mobile, fra cui un divano letto! ...ed eccoci sistemati ottimamente per la notte. Solo dopo un bel po' compare finalmente Arturo, il marito di Danuta, un bell'uomo aitante e sorridente, con un pennello in mano e bianco di colore fin sopra i capelli... era da qualche parte occupato a imbiancare e solo ora è venuto a vedere i due tipi stravaganti che dovrà ospitare a casa sua!

 Danuta di Wojborz

E così di sera in sera, di famiglia in famiglia, di conoscenza in conoscenza, si sta snodando finora la nostra cavalcata in terra polacca.

7-Slesia contesa

Boczkow (Kalisz), giovedì 14 agosto 2003.Oggi è piovuto per la prima volta dopo molte settimane: si è levato un gran vento, il cielo si è fatto nero nero e ha scaricato una pioggia violenta che è durata però solo 10 minuti, non certo sufficienti ai raccolti minacciati anche qui dalla siccità. La famiglia di contadini da cui siamo ospiti (Adam e Bernadeta con i loro 4 figli) coltiva ortaggi su grande scala: carote, sedano e cavoli che vengono venduti in Olanda e in Germania. Sono belli i campi di cavoli cappucci dalle sfumature leggermente azzurrine, con quel loro aspetto ceroso e traslucido, ma sono molto più sorprendenti - per noi - le serre di pomodori, pomodori polacchi sodi e gustosi, quasi migliori di quelli dell'orto casalingo in Friuli, che abbiamo trovato nei negozi fin dalla Repubblica Ceca.

 Un elemento caratteristico della Polonia

Da un paio di giorni siamo nella regione chiamata Wielkopolska (“Grande Polonia”), che ha come capitale Poznan; ci siamo lasciati definitivamente alle spalle la Bassa Slesia e la pianura dell'Oder, ma le storie che abbiamo sentito raccontare e le persone che abbiamo conosciuto non ci escono dalla mente e meritano ancora qualche riga. Che la Slesia sia un territorio travagliato è evidente fin da un primo sguardo anche senza conoscerne la storia: le antiche case simili a quelle della Germania, le grandi fattorie purtroppo quasi sempre male in arnese, i castelli e i palazzetti fatiscenti parlano di un lungo passato e di un recente abbandono. Questa fascia di territorio bordato a sud dai monti Sudeti ha sei secoli di appartenenza all'area tedesco-austriaca, e solo alla fine della II guerra mondiale è passata alla Polonia. E' un ricordo lontano ormai, conservato solo dagli anziani, ma ogni tanto riaffiora in modo inaspettato. Sperimentiamo allora la differenza tra il leggere la storia sui libri e il leggerla sulle tracce che lascia sulla terra e sulla pelle della gente.

 Karolina su Terek

Qualche giorno fa siamo capitati quasi per sbaglio a Wojslow, un piccolo paese a sud di Wroclaw, e nella piazzetta siamo stati come al solito accerchiati da un chiassoso gruppo di bambini. In disparte, timida e silenziosa, una bimbetta più piccola se ne sta in perduta contemplazione dei cavalli. Si chiama Karolina e Il suo sguardo innamorato ci colpisce e così ben volentieri ci lasciamo “accalappiare” da suo padre Staszek, un omone dalla faccia simpatica che vuole assolutamente ospitarci a casa sua. Nel suo cortile si forma un nuovo capannello di gente, tanto che come al solito stentiamo a capire (il mio polacco è super-zoppicante) chi siano i veri abitatori della casa. Un uomo alto e magro sulla cinquantina mi rivolge alcune domande in un inglese dapprima stentato e poi via via sempre più fluente che attira la mia attenzione: è rarissimo trovare qualcuno della sua generazione che sappia l'inglese, a scuola tutti dovevano imparare il russo. Forse era un marinaio, penso tra di me. Ma Jozef, fratello di Staszek, come scopriremo poi, era fuggito a 18 anni dalla Polonia per non fare il militare e aveva vissuto molti anni in Svezia. Grazie al suo inglese faticosamente recuperato alla memoria veniamo a sapere, tassello dopo tassello, che tutti gli abitanti di Wojslow, originariamente, erano tedeschi, e che alla fine della guerra tutti furono espulsi e costretti ad andare in Germania con l'unica eccezione di una coppia che era stata torturata dai nazisti. Nelle case lasciate libere vennero sistemati quei polacchi espulsi a loro volta (ufficialmente si diceva “rimpatriati”)dai territori della Lituania, della Bielorussia e dell'Ucraina annessi dall'Unione Sovietica. Anche i genitori di Staszek e Jozef erano stati trasferiti lì “dall'Est”, dall'Ucraina. “Negli ultimi anni ogni tanto i vecchi abitanti o i loro figli vengono qui a Wojslow in una specie di pellegrinaggio della memoria- ci dice Jozef - anche noi abbiamo conosciuto quelli che un tempo abitavano in questa casa, è vero che si crea una strana atmosfera, un senso di disagio, però bisogna riuscire a capirli”.

La mattina seguente mettiamo Karolina in sella a Terek e insieme a Staszek e Jozef attraversiamo a piedi tutto il paese su una lunghissima strada bianca; poi ci salutiamo, noi montiamo in sella e la bambina, tenendo per mano il papà e lo zio, piccola figurina in mezzo a due sagome allampanate, ripercorre piano piano la via di casa. Mi giro tante volte e mi pare che sia sempre lì, immobile, finché non scompare dietro la curva, simbolo di questi incontri casuali ma profondi che durano lo spazio di poche ore ma che rimangono per sempre impressi nella memoria.

8-La città di Copernico

Torun, 20 agosto 2003.

Siamo arrivati a Torun, la città natale di Copernico, situata nella regione Pomorze (Pomerania) sul basso corso della Vistola. Scrivo seduta a un tavolino del ristorante Sphinx (proprio così!), nella piazza centrale della città (Rynek Staromiejski), davanti alla statua del famoso astronomo che “fermò il sole e fece muovere la terra”. Oggi proprio attorno a questa statua, posta su un alto piedistallo e inghirlandata di fiori freschi, fa perno tutta l'animazione della città (200.000 abitanti) e dei suoi visitatori. Gira gira, si finisce sempre con il tornare qui: in questo crocicchio rigorosamente pedonale prima o poi passano tutti. E così questo è il capolinea del vetturino che fa il giro con la carrozza a cavalli, del venditore di palloncini, dei banchetti di souvenir e cartoline, dei vari suonatori da strada (bravi) e persino di un buffo ciclo-risciò in versione polacca spinto da un muscoloso giovanotto con i riccioli rasta. Anche il chiosco della fioraia fa ottimi affari, invidio una ragazza appena omaggiata di tre rose rosse dal suo cavaliere.

 Nella piazza di Torun

Se si sale sulla torre del municipio , un imponente edificio in mattoni rossi che occupa tutto il centro della piazza, la vista spazia in prospettive abbastanza insolite sulle austere chiese della città e sulle case tutto attorno. Sembra di affacciarsi ai banchi di una pasticceria: le facciate barocche sono come torte alla frutta decorate con panna montata. La più bella è quella della casa Pod Gwiazda (“sotto la stella”), con stucchi e motivi floreali bianchi in rilievo sull'alta facciata color crema.

 La Casa sotto la stella

Nella piazza Nowomiejski l'antica chiesa protestante nel centro è stata trasformata in pub-discoteca, ma a pochi passi si erge l'enorme e severa chiesa di San Giacomo con le sue torri gemelle. Le strade che collegano le due piazze sono anch'esse ricche di case dalle facciate fantasiose e colorate. Di stradina in stradina capitiamo davanti alla casa natale di Copernico (1473-1543). La facciata gotica di mattoni è impreziosita da un mirabile disegno a ghirigori bianchi, rossi e neri che la fa somigliare a un merletto. Anche l'interno, adattato a museo, è interessante anche se piuttosto affollato. Qui scopriamo che il giovane Copernico, già laureato in matematica a Cracovia, studia poi legge, astronomia, medicina e diritto canonico a Ferrara, Bologna e Padova.

Ancora pochi passi e siamo sul lungofiume: anche qui movimento, ciclisti, canoisti, turisti a godersi la vista sulla Vistola, ristorantini sulle barche attraccate. Il grande fiume è a uno dei suoi minimi storici e banchi di sabbia affiorano qua e là. Un solo lungo ponte con le arcate di ferro collega le due sponde, ed è da lì che siamo passati anche noi a cavallo, ieri. Per fortuna tra le arcate e il parapetto c'è una corsia pedonal-ciclabile che ci ha messo al riparo dal traffico caotico del tardo pomeriggio, per di più sotto un bell'acquazzone. I ciclisti polacchi si avvicinano silenziosamente fin sotto la coda dei cavalli e poi sorpassano come bolidi a destra o a sinistra, come capita, dimostrando una buona dose di incoscienza o di ignoranza delle fulminee reazioni equine in caso di “avvicinamento indebito”...per questo i cinque minuti che impieghiamo a passare il ponte sulla stretta “trassa rowerowa” ci sembrano un'eternità.

 Il ponte sulla Vistola

Il maneggio di Torun si trova a Kaszczorek, un sobborgo lungo la Vistola, a circa sei km dal centro; vi è la possibilità di affittare una camera a pochi passi e c'è persino un locale chiamato “Saloon” dove oste e ostessa si dedicano appassionatamente al gioco delle freccette snobbando i pochi clienti. Così mentre i nostri cavalli si godono il loro ben meritato giorno di riposo settimanale noi ci spostiamo in autobus e ci dedichiamo a fare i turisti prima del rush finale... ormai solo 200 km ci separano dalla nostra meta, il mar Baltico!

9 - Vista sulla Vistola

Nowa Wies, domenica 24 agosto 2003.

Scrivo sul tavolo della cucina di Lidia Pawelec, che ci ha ospitato stanotte nella sua bella casa bianca circondata da pascoli e laghetti. La sua è una famiglia contadina che negli ultimi anni ha abbandonato le attività più tradizionali per concentrarsi nella coltivazione dei pomodori. Infatti ne hanno ben 18 serre di cui vanno orgogliosi: ieri sera a cena e stamattina a colazione i pomodori più grossi e più belli avevano il posto d'onore su un tavolo coperto comunque da ogni bendidio, marmellata, burro, ricotta, miele, tutto di produzione propria. E ieri sera si è brindato in nostro onore con una bottiglia di Asti spumante!

 A casa di Lidia

Venerdì 22 siamo partiti dal maneggio di Torun, sulla riva della Vistola, con l'intenzione di tagliare la grande curva che il fiume compie verso Ovest prima di iniziare un percorso drittissimo verso Nord e sfociare nel Baltico non lontano da Danzica.

 Nel bosco di betulle

Per la verità sulla nostra via si para la grande città industriale di Grudziadz (si pronuncia più o meno Grugionz), adagiata sulla riva del fiume, ma informazioni raccolte strada facendo ci convincono che anche qui - come a Torun - esiste una pista ciclabile sull'argine che consente di evitare il traffico urbano. Ci mettiamo in sella al mattino presto, abbracciati da un vento gelido. Le strade di campo che inanelliamo nel nostro percorso passano in mezzo a grandi campi di colza gialli di fiori e a boschi di betulle; costeggiamo un laghetto balneare ora deserto, attraversiamo un sobborgo di Grudziadz con alti palazzoni e puntiamo verso la Vistola, distante ormai solo pochi km. Ma questo breve tratto si rivela un labirinto di stradine, sentieri, argini e canali che ci fanno impazzire anche perché, come spesso avviene, le persone cui chiediamo informazioni non sono molto attendibili né attendibile al 100% è la mia comprensione del polacco. Alla fine capitiamo in un boschetto intersecato da sentieri percorsi da pedoni e ciclisti che portano a spasso i loro cani. Intuiamo ormai che non esiste un vero argine percorribile, siamo semmai su una ripida scarpata a picco sul fiume. Dalle chiome degli alberi spuntano le sommità di alti condomini , ormai siamo rassegnati a percorrere diversi km di asfalto in mezzo al traffico cittadino, che è davvero l'ultimo desiderio di un viaggiatore a cavallo. Ma con nostra grande sorpresa il bosco continua come un'esile striscia al margine dell'agglomerato residenziale. La pista serpeggia continuamente dentro e fuori dal bosco, tra l'asfalto e la sabbia: alla nostra sinistra, invisibile oltre la scarpata scoscesa, scorre la Vistola, alla nostra destra si estende la periferia della città fatta di una selva di casermoni, alcuni bruttissimi e grigi, altri ben tenuti e colorati. Mentre entriamo e usciamo dalla boscaglia abbiamo la sensazione di essere diventati un miraggio, di essere entrati in una dimensione imprevista, in bilico tra natura e modernità. Vediamo le facce stupite della gente che, affaccendata nelle consuete occupazioni del sabato pomeriggio, fare la spesa lavare la macchina bere birra fuori dal bar, ci vede apparire all'improvviso quasi dal nulla, due viaggiatori inattuali a cavallo, e poi riscomparire dopo un attimo nella boscaglia. C'è anche chi si affaccia incredulo al terrazzo del decimo piano, attirato e incuriosito dall'insolito rumore degli zoccoli ferrati.

 A Grudziadz

All'improvviso usciamo dal bosco e si apre un vasto inaspettato panorama nella luce ormai nordica, con il cielo terso percorso da veloci nuvole scure. Si delineano nitidi la Vistola azzurra, l'amplissima golena verde, il ponte lontano con le arcate di ferro, e le case sulla riva, bianche quelle moderne più vicine, rosse quelle di mattoni della città vecchia. Tutto il paesaggio è movimentato da piccole alture. Lentamente, molto lentamente per lasciare che questa visione singolare penetri dentro di noi, scendiamo la collina nell'erba alta che attutisce i rumori, portiamo i cavalli a bagnare gli zoccoli nel fiume e ci dirigiamo verso la città vecchia che scorre al nostro fianco come i fotogrammi di un film. Tra i bastioni e la riva bellissimi prati tutti lisci come un campo da golf, poi questo spazio via via si restringe in un sentiero sempre più angusto fino a diventare impercorribile. Ormai si è fatto tardi e per oggi dovremo rinunciare alla vista sulla Vistola e risalire sull'alta scarpata, rientrare ancora per un po' nell'usato percorso tra campi e paesini, cercare un contadino che ci dia fieno e avena per i nostri cavalli.

10 - Zoccoli nel Baltico

(24-25 agosto 2003) Lasciata l'ospitale casa di Lidia a Nowa Wies, vicino a Grudziazd, seguiamo l'argine della Vistola come una autostrada verde, senza più lasciarlo. Il sole splende, ma il vento fortissimo sospinge in continuazione grandi nuvole scure che si accavallano velocemente creando una luce molto mutevole, nordica, che contrasta con il verde intenso dei pascoli e che fa dolere gli occhi. Stando alti sull'argine vediamo alla nostra sinistra l'ampia golena verde dove pascolano centinaia di mucche e vitelli, e alla nostra destra campi e pascoli, laghetti e fattorie isolate. Nei laghetti cigni, oche e anatre.

 Sull'argine della Vistola

Ogni tanto la strada che porta a qualche paese un po' più all'interno. Sulla Vistola azzurra, su cui il vento crea onde controcorrente, bellissimi banchi di sabbia rosata. Tra l'erba alta dell'argine i fiori azzurri della cicoria selvatica, quelli bianchi dell'achillea e quelli gialli del tanaceto. Affascinati da tanta bellezza, decidiamo di passare l'ultima notte nella golena, vista l'abbondanza di erba per i nostri cavalli. Mettiamo così la tenda verso l'imbrunire accanto a un boschetto di salici e imbacuccati con tutti i vestiti disponibili ci prepariamo a goderci il tramonto sul fiume mangiucchiando le nostre provviste, quando nella luce ormai fioca intravvediamo delle sagome scure a poca distanza da noi. Per un attimo una paura ancestrale mi fa pensare a grossi cani neri, poi subentra la logica che mi dice che forse sono vitelli che si sono avvicinati da un altro pascolo. In realtà si tratta di un branchetto di cinghiali cui abbiamo senza volere invaso il territorio. Li mettiamo in fuga facilmente agitando le braccia. Non li vedremo più.

 Tramonto sulla Vistola

(26 agosto 2003) Dopo una notte tranquilla la mattina di martedì è radiosa ma non calma di vento. Continuiamo ancora lungo l'argine. Le nuvole gettano lunghe ombre erranti sui pascoli. Facciamo una sosta a Pielko, un piccolo paese appena dietro l'argine: compriamo qualcosa da mangiare e appena ci stendiamo nell'erba della golena, così da non sentire il vento, il sole caldo ci avvolge e ci induce a farci un sonnellino, mentre i cavalli pascolano. Ormai mancano solo dieci km alla foce della Vistola e quindi al mare. Ma quando ripartiamo dopo la sosta, in un attimo il cielo prima sgombro si copre di nuvole e si scatena un breve temporale. Indossiamo le mantelle, la pioggia cessa, lascia qualche speranza di miglioramento ma poi riprende non intensa ma costante. In lontananza si profila una linea ininterrotta di bosco:è la grande duna costiera, alta alcune decine di metri, che coperta da una fitta pineta si estende per circa un km prima della spiaggia. Arriviamo a Mikoszewo, paese balneare con cartoline in vendita e cartelli di stanze in affitto, a ridosso della duna. E' una sensazione straniante quella di essere così vicini al mare, e dover salire un sentiero in un bosco di pini stillante, come se fossimo in Carnia. I cavalli affrontano d'impeto la breve ma ripida salita, ci inoltriamo nella pineta percorsa da mille sentieri e finalmente percepiamo il rombo del mare vicino. Ancora qualche metro e lo vediamo, cupo, percorso da cavalloni che si frangono sulla riva con una schiuma verde-giallastra, in perfetta livrea di burrasca. Stiamo forse mezz'ora a contemplare le onde, siamo i soli sulla spiaggia. Verso est la spiaggia sabbiosa si stende a perdita d'occhio in un grande semicerchio. E' la la penisola di Mierzeja Wislana, lunga quasi 100 km, che chiude il golfo di Elblag ed è divisa a metà dal confine russo, l'enclave di Kaliningrad, un territorio che a noi viaggiatori a cavallo rimane ancora precluso. Ma la meta del viaggio è ormai raggiunta, abbiamo compiuto a ritroso la via dell'ambra, la preziosa resina fossile che da migliaia di anni viene raccolta proprio su queste spiagge.

 Le onde del Baltico

Fatichiamo a convincere i nostri cavalli a bagnare gli zoccoli nelle onde plumbee, dello stesso colore del cielo. Forse Tea e Terek temono che, dopo aver attraversato l'Europa, adesso vogliamo attraversare anche il Baltico.